Pedopornografia online, maxi blitz tra Roma e Latina: 6 arresti e migliaia di file sequestrati

sequestro computer pedofili

Dietro le porte di abitazioni apparentemente comuni tra Roma, Latina e Livorno si nascondeva un archivio dell’orrore. In un’operazione ad alto impatto, la Polizia Postale ha fatto irruzione nelle case di sei uomini tra i 50 e i 70 anni, sorprendendoli con i dispositivi ancora accesi, mentre erano intenti a scaricare e conservare materiale pedopornografico. Il risultato? Un sequestro massiccio di file illeciti e hard disk pieni di immagini che nessuno dovrebbe mai vedere.

Pedopornografia online: collezionisti di orrore

L’indagine, ribattezzata “Fat Man”, è stata coordinata dalla Procura di Roma e condotta dal Centro Operativo per la Sicurezza Cibernetica del Lazio, con il supporto del Centro Nazionale per la Pedopornografia Online. I sei arrestati – quattro residenti nella Capitale, uno a Latina e uno a Livorno – erano soliti utilizzare vecchie piattaforme di file sharing, come eMule, per scambiare migliaia di contenuti illegali, molti dei quali documentavano abusi su minori.

Grazie a strumenti investigativi di ultima generazione, gli agenti sono riusciti a tracciare i flussi di dati sospetti e a localizzare gli utenti più attivi. È stato così possibile identificare con precisione le abitazioni da cui partivano i download e intervenire mentre i colpevoli erano ancora collegati alle piattaforme.

Sequestrati centinaia di dispositivi e una collezione da incubo

Al termine delle perquisizioni, sono stati sequestrati centinaia di supporti digitali: hard disk, computer, pen drive e memorie esterne stracolme di materiale. La mole di dati raccolti è talmente vasta che serviranno settimane per un’analisi completa. Ma una cosa è già chiara agli inquirenti: si trattava di una produzione e detenzione sistematica di materiale illegale, organizzata con metodo e distribuita su larga scala.

L’operazione ha riportato l’attenzione su un aspetto spesso sottovalutato: molti pedofili continuano a utilizzare canali ormai obsoleti, ritenuti “più sicuri” perché meno monitorati rispetto ai moderni social o piattaforme di messaggistica criptata.

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