Per il ponte di ferro a Ostiense si pensa al modello Genova. Ma ci vorranno mesi

Siamo già oltre il mese di chiusura. Dell’arteria stradale che collega (collegava) piazzale della Radio con la via Ostiense e Piramide. Uno snodo nevralgico, interrotto dal rogo che ha distrutto il ponte sul Tevere, noto a Roma come ‘ponte di ferro’. Abbiamo ancora tutti negli occhi le immagini delle fiamme divampate quella notte, forse dalla baraccopoli sottostante. Abitata da barboni e sbandati, che trovavano riparo lungo le sponde del fiume. In alloggi di fortuna. E forse è stata una bombola del gas, o un fornelletto, a scatenare l’infermo. Ma la ricostruzione di quegli attimi concitati è ancora incompleta. E ogni ipotesi è al vaglio degli inquirenti. Compresa quella della matrice dolosa. Magari opera di qualche residente, esasperato dal degrado. Intanto i clochard da quella notte sono spariti. Dileguati ne nulla, dispersi in città. Tra Testaccio e Trastevere, ma impossibili da rintracciare e identificare. Per avere più dettagli. Mentre si starebbero cercano eventuali testimoni. Perché anche un dettaglio in più potrebbe essere importante. Intanto restano il traffico e i disagi. Così per la ricostruzione del ponte, si pensa di adottare il ‘modello Genova’. Quello cioè che si è riusciti a realizzare dopo il crollo del Morandi. Con la nomina di un commissario ad acta con pieni poteri. Anche di deroga rispetto al codice degli appalti. Per fare presto, e ricucire in fretta questa brutta ferita per la città.

Ponte di ferro: l’incendio sarebbe partito da un fornelletto della baraccopoli mai sgomberata

La baraccopoli sotto il ponte era solo uno degli oltre 300 insediamenti abusivi in città

La vicenda del ponte di ferro andato a fuoco, ha sollevato subito una forte polemica politica. Sul degrado che in città regna sovrano. Sotto la lente d’ingrandimento, gli oltre 300 insediamenti abusivi – anche piccoli e piccolissimi – censiti dalla Croce rossa nel 2019. Che si aggiungono ai sei campi autorizzati, e a un’altra decina classificati come tollerati. Paradossalmente, è proprio quando si fanno gli sgomberi che si crea il problema. Perché la chiusura di non luoghi come La Barbuta, l’area F di Castel Romano o l’insediamento nei pressi dello stadio Olimpico è sacrosanta. Ma andrebbe coordinata con un piano di censimento e ricollocazione degli occupanti. Salvo chi delinque, che ove ne ricorrano i presupposti, dovrebbe essere espulso. Senza questo lavoro a monte, i micro campi proliferano. E sono ancora più incontrollabili. Mancando completamente di regole sanitarie, servizi igienici e monitoraggio. E allora è troppo facile fasciarsi la testa, quando accade il disastro. Come nel caso del ponte di ferro. Adesso i cittadini aspettano risposte. E una ricostruzione se possibile rapida. Il neo sindaco Gualtieri lo ha promesso, e sarà un primo banco di prova. Sul quale la nuova amministrazione si gioca già moltissimo.