Petrocchi: si può pensare a un’altra Europa alternativa alla cultura progressista

Un'altra Europa

Contenuti dell'articolo

Si può pensare a una Europa con un nuovo modello di sviluppo alternativo al globalismo e alla cultura progressista? Si può sperare in un futuro in cui la sovranità nazionale torni a scalzare quella tecnica? Sovranità nazionale e sovranità europea sono compatibili? E poi, è realistico pensare di ridare centralità e autonomia all’Europa costruendo una sovranità condivisa tra i popoli europei? Questi gli interrogativi ai quali l’avvocato cassazionista Francesco Petrocchi, da sempre sensibile al tema europeo, ha cercato di dare riscontro con il suo ultimo libro “Un’altra Europa”, presentato recentemente a Palazzo Valentini.

Sono intervenuti l’onorevole Fabio Rampelli, vice presidente della Camera, il senatore Marco Scurria, il consigliere della città metropolitana Antonio Proietti, l’editore Francesco Giubilei, il giornalista Angelo Nardi, con i quali sono stati discussi ed approfonditi gli interrogativi posti nel libro.

Oggi l’Europa è priva di una guida politica rappresentativa dei popoli che la abitano

Oggi l’Europa è priva di una guida politica rappresentativa dei popoli che la abitano. Già cento anni fa filosofi come Oswald Spengler teorizzavano l’arretramento della politica rispetto al potere economico. Sono i mercati a governare le Nazioni, ad aver quasi assunto una soggettività. La tecnocrazia è il governo dell’economia che ha delegato ai tecnici, al di fuori della rappresentanza dei popoli, e il tecnocrate governa avendo presenti gli interessi economici e non dei popoli. Per poter dare una svolta a questa Europa, secondo Petrocchi, bisogna tornare alla rappresentanza ,che è la politica, i rappresentanti scelti dal popolo fanno gli interessi del popolo; ovviamente se ben scelti. Bisogna abbandonare quel concetto tecnico che allontana e fa sentire estranei i popoli dal destino e dal governo dell’Europa.

La crisi di questa Europa consiste nel fallimento dell’utopia liberal comunista

Secondo Petrocchi, la crisi di questa Europa consiste nel fallimento dell’utopia liberal comunista. Questa idea riprende il concetto che capitalismo e comunismo siano i due volti del medesimo materialismo, rivolti e supportati da diverse classi sociali. Questo conflitto ha generato tra le tante aberrazioni, il politicamente corretto, le politiche radical chic, la necessità di di stabilire confini ideologici, fare delle diversità di ogni genere uno strumento con cui cancellare le idee e i valori sui quali si fonda il sentirsi di un popolo. L’Europa integra rinunciando a se stessa, il pensiero debole e rinunciatario, molto caro alle élite globaliste, vuole un Occidente colpevolizzato. Concetto spiegato da un autore come “oikofobia”, ossia  la paura e l’odio di se stessi. Avido di contro di tutto quel che è estraneo alla nostra cultura, portandola a un sostanziale indebolimento, e a un inevitabile sovra avanzamento delle culture altre.

L’interruzione delle tradizioni crea uno scollamento con i popoli

Un esempio significativo in questo senso: constatare che nelle scuole da molti anni non si fa piu il presepe ma solo l’albero, simbolo laico. Non si insegnano, né si fanno cantare i canti della tradizione religiosa, che è imprescindibile e indivisibile dalla nostra cultura e dalla nostra tradizione. Ecco perche si crea uno scollamento tra quella che è l’Europa dei popoli e l’Europa di oggi che viene governata in questo modo, bisogna rimanere legati al concetto di Europa come identità, cristianità, religione, diritto, filosofia, insomma tutto quello che è stato il percorso storico dell’uomo europeo, e non rinunciare alla battaglia per avere una Europa in cui viga la sovranitaà popolare. L’Europa rischia di rimanere stretta dal liberal comunismo e la retorica dei diritti. Si tratta ora, di immaginare un altro volto ma soprattutto di dargli un altro destino.

Servono i popoli non le élite

E per attuarlo servono i popoli non le élite. C’è bisogno di una mitopoiesi che costituisca e ripristini la simbologia e intorno a essa costruisca legittimazione delle strutture politiche. E’ un passaggio fondamentale, evidenzia la necessità di ripensare tutte quelle che sono le ragioni d’essere dell’Unione Europea, in un processo critico, capace di superare egoismi oligarchici e ogni tipologia di interesse. Il passaggio dalla tecnocrazia alla sovranità, avviene per Petrocchi con l’affermazione del concetto di identità, ciascuno è in virtù delle sue origini e queste sono date dallo spazio materiale in cui hanno preso forma, idea, sostanza e memoria. Un concetto su cui si fonda il senso di appartenenza dei popoli alla loro terra e alla volontà di determinarsi come forza agente, affinché la rappresentanza eletta sia espressione dell’area di origine.

Un modulo di pensiero condiviso

Sovranità nazionale e sovranità europea si possono conciliare pensando al concetto di federazione, rispettare la sovranità degli Stati membri e al contempo costruire una sovranità più generale. Che coniughi le differenze, che coordini ed articoli le politiche di approccio estero, che faccia da porta voce europeo. Un modulo di pensiero condiviso, ribadito nei concetti anche da Fabio Rampelli. Il quale ha risposto
all’interrogativo: qual è la sua idea della destra di Europa? “L’Europa deve smetterla di essere una entità astratta, una sorta di regista che da comandi dall’alto, poco radicata nella cultura popolare. Noi immaginiamo una Europa non configurata come gli Stat Uniti d’Europa, ma come una federazione di Stati liberi, indipendenti, autonomi, che poi sulle grandi questioni sovranazionali si uniscono.

Ecco come deve essere la nostra Europa

Attualmente c’è una guerra in corso, la difesa deve essere una difesa comune Europea, diversamente l’Europa non avrà mai un peso specifico nell’assetto geopolitico mondiale. Stessa cosa per quel che riguarda l’economia. Sì alle politiche economiche comuni, volte ad arginare il mercato asiatico, la Cina, ma poi ovviamente bisogna lasciare che gli Stati nazionali facciano i loro commerci. Dunque l’Europa dei popoli, delle patrie, delle identità: questa è l’Europa per noi. Esiste insomma un europeismo non necessariamente liberal progressista, frutto di una elaborazione culturale prima che politica, che mette al centro i popoli europei e ne valorizzi i punti comuni quale nuovo anelito verso un destino fondato su libertà, identità, radici, sugli interessi europei, sulla difesa dei confini. Per ridare vitalità, vigore e indipendenza dai grandi blocchi contrapposti al nostro Continente.