Ponte di Nona, il market della droga era guidato dal boss in cella a Rebibbia

Una vera e propria piazza di spaccio gestita da una organizzazione criminale senza scrupoli, quella sgominata oggi dai Carabinieri a Ponte di Nona. Una delle periferie della Capitale, diventato negli ultimi anni, soprattutto nell’area delle case popolari, un vero e proprio market della droga a cielo aperto.
I Carabinieri hanno accertato l’esistenza di una associazione criminale composta da quattro livelli, organizzati in maniera piramidale. I due capi e promotori, soggetti giovanissimi ma con un curriculum criminale di tutto rispetto, avevano creato un vero e proprio sistema in cui tutti gli operanti avevano un loro ruolo, come un grande ipermercato.
L’indagine, nata nel 2018, coordinata dalla Procura Distrettuale Antimafia di Roma, si è quindi conclusa con ben 44 indagati di cui 22 destinatari di misure cautelari limitative della libertà personale.
Durante la fase investigativa, invece, l’attività ha consentito di arrestare 19 persone in flagranza di reato, denunciarne 3 a piede libero e segnalare come assuntori 34 individui, nonché di recuperare e sequestrare quasi 35 chili tra hashish, cocaina e crack.

Chi è il boss di Ponte di Nona
Gli ordini per gestire la piazza di spaccio a Ponte di Nona arrivavano direttamente dal carcere di Rebibbia. Christian Ventre, 29 anni, teneva le fila dell’organizzazione, sgominata oggi dai Carabinieri della Compagnia di Tivoli, grazie a un telefono cellulare, scoperto nel corso indagini.
Nell’organizzazione c’era chi si occupava del rifornimento della droga che arrivava dalla vicina Tor Bella Monaca, chi forniva l’alloggio per il confezionamento dello stupefacente, le vedette, organizzate per turni C’era poi un servizio di assistenza agli affiliati, anche per chi veniva arrestato, che poteva contare su un sostegno. Il gruppo criminale aveva organizzato anche un servizio ‘mensa’ per vedette e pusher, una sorta di catering che veniva assicurato agli ‘impiegati’ della piazza da condomini che quindi lucrando, partecipavano all’assistenza logistica.
“Nonostante lo stato detentivo presso il carcere romano di Rebibbia” dove si trova per una condanna in primo grado a 22 anni “è riuscito a dirigere l’attività di spaccio tramite il cognato utilizzando un telefono cellulare incredibilmente a sua disposizione in cella: inoltre, quale capo dell’organizzazione momentaneamente ristretto in carcere ha continuato a percepire la propria quota dai proventi dello spaccio a dimostrazione del fatto che la commissione di reati inerenti la commercializzazione di sostanze stupefacenti è la sua unica fonte di sostentamento”.