Quando nella redazione del “Secolo d’Italia” chiamavamo Berlusconi “il sant’uomo”….

secolo vittoria (2)

Già, proprio così: nella redazione del Secolo d’Italia negli anni Novanta e Duemila lo chiamavamo “il sant’uomo”. Silvio Berlusconi era riuscito ad accattivarsi simpatia e consenso anche nella destra più radicale della nazione. Fummo tutti contenti della sua discesa in campo, perché sembrava che i comunisti davvero dovessero conquistare il potere dopo l’offensiva della magistratura scatenata su tutti i partiti tranne Pci e Msi. Il Pci, perché non vollero colpirlo se non di striscio, in quanto il pool di Milano era notoriamente orientato a sinistra; e il Msi perché non c’era niente da colpire o da trovare. Quando poi vincemmo, nel 1994, fu la rivincita ideale per mezzo secolo di emarginazione, ostracismo, persecuzione proprio da parte di quei partiti finiti in galera e da parte del Pci. Fu uno dei momenti politici più belli della vita di un mssino.

Un ragazzo di Salò che diventa ministro

Vedere un esponente della Repubblica Sociale Italiana diventare ministro della Repubblica – Mirko Tremaglia, ragazzo di Salò – fu impagabile, una vittoria per tutti noi commovente. E il merito era solo di Silvio Berlusconi, checché se ne dica, anche nel nostro ambiente. Fu lui che ci tirò fuori dall’oblìo e dall’indifferenza politica e ci rimise nel grande gioco istituzionale di questa nazione. Lui, quando disse che alle comunali di Roma, se avesse vissuto a Roma, avrebbe votato Gianfranco Fini e non Rutelli, che mise in movimento una valanga che non si è ancora fermata. Lui, uomo indiscutibilmente di destra ma lontanissimo da ogni fascismo, difese una volta con le unghie e coi denti i ragazzi della Fiamma Tricolore dopo un’ennesima aggressione, perché in quelle elezioni la Fiamma era alleata con Forza Italia.

Lo scontro con Fini

Berlusconi dette nuova vita, una seconda giovinezza, alla destra missina e post missina, che sembrava finita, costruendo insieme agli esponenti della fiamma un’Italia diversa e una politica nuova. Così in redazione lo appellavamo “il sant’uomo”, un po’ per scherzo perché ci era simpatico, ma molto invece sul serio, perché la maggior parte di noi aveva iniziato ad amarlo. Amore che non venne meno, almeno dalla maggioranza della redazione, neanche nel buio e difficile momento della lite tra Fini, che alla fine era il nostro leader, e Berlusconi, conclusosi con la famosa e cocente sconfitta del capo di Alleanza Nazionale che aveva provato a farlo cadere. Che giorni terribili, quelli, quanta tensione in redazione: i più erano convinti che Berlusconi avesse ragione ma altri, pochi per la verità, sostenevano le ragioni di Fini.

Disorientamento in Alleanza Nazionale

Poi sappiamo come andò: Fini e un pugno di parlamentari fondarono Futuro e Libertà, che durò lo spazio di un mattino. E, ex post, notiamo che il sentimento comune della destra, di piazza e parlamentare, non sostenne le ragioni di Fini ma quelle di Berlusconi. Nello stesso partito c’era disorientamento dopo la famosa votazione che vide Berlusconi resistere all’attacco interno: regnava l’incertezza e lo sconforto. Molti parlamentari di Alleanza nazionale, anche quelli che non condividevano le idee di Berlusconi, rifiutarono di andare con Fini, perché – sostennero – Berlusconi semmai andava combattuto da destra, e non certo da sinistra, come stavano facendo Fini e i suoi pochi seguaci. Nel marzo successivo la situazione di normalizzò e il Secolo tornò a essere il giornale della destra italiana. E la lezione di Democrazia Nazionale, che pure Fini la aveva vissuta, non aveva insegnato nulla. Il “sant’uomo” aveva vinto ancora.