Referendum giustizia, il governo non saboti la volontà popolare

Referendum giustizia

Ma sui referendum giustizia al governo è partita la capoccia? Si sono messi in testa di sabotare la consultazione popolare con un colpo al cerchio e uno alla botte?

E non è casuale il silenzio di molti attori e cantastorie della politica. Solo da Lega e Forza Italia – il Centrodestra di governo – si sono alzate voci per far ragionare Draghi e soci sulla consultazione in materia di giustizia.

Giustizia, al referendum fateci votare in due giorni

E’ vero, Palazzo Chigi ha unito il referendum alle amministrative. Il primo turno si svolgerà il 12 giugno. Ma una data così lontana e così vicina alle vacanze estive non è quella ideale per dissuadere un elettorato che si è abituato all’astensionismo.

Già per le amministrative si vota sempre meno, basti pensare a quello che accadde a ottobre 2021 a Roma, dove alle urne non si recò il 50 per cento e passa degli elettori. Dire che si vota anche per il referendum ma riducendo da parte del governo la possibilità di decidere in un solo giorno sulla giustizia, mette a rischio il quorum. Si delegittimano i sindaci eletti da minoranze, si vanifica lo sforzo di cambiare le regole nei tribunali.

E’ questo l’intendimento dell’esecutivo? Impedire al popolo di decidere per via referendaria? Draghi ci pensi, se non vuole ridurre tutto in farsa.

I 6 referendum (poi ridotti a quattro) sono stati sottoscritti da milioni di italiani e avallati da numerosi consigli regionali. Far votare tutto solo il 12 giugno e non anche lunedì 13 assomiglia ad una presa in giro.

Non vogliamo parlare di farsa come fanno i radicali, che così facendo danno una manina a Draghi nel sabotaggio della consultazione. A votare ci si deve andare e semmai battersi come leoni per fare aprire i seggi per due giorni come si è fatto nella gran parte dei casi, proprio perché è fissato un quorum del 50 per cento per rendere valido il voto.

Il governo deve favorire e non ostacolare il diritto democratico dei cittadini. Vogliamo augurarsi che non sia impedito da ragioni politiche. Anzi, partitocratiche.