Regione Lazio, le “Case del commiato” in mano ai privati: Comuni e Asl relegati al ruolo di controllori

Sullo sfondo, una classica sala del commiato, in primo piano il governatore Rocca

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La Regione Lazio guidata dal governatore Francesco Rocca ha pubblicato il nuovo regolamento sulla “realizzazione e l’esercizio delle case funerarie e delle sale del commiato” operativo da quest’oggi, 25 novembre. Nel regolamento non si parla solo di standard, ma anche e soprattutto di chi potrà gestire questi luoghi delicati. La scelta più delicata è sicuramente l’apertura esplicita agli operatori funebri (privati) come gestori in un certo senso ‘naturali‘ delle Case Funerarie. La Regione Lazio ha previsto, difatti, per tutti costoro, l’obbligo di ottenere l’autorizzazione SCIA e il parere ASL. Ma la regia del servizio sembra essere stata messa proprio nelle loro mani.

Gli operatori privati nel ‘settore’ Case Funebri della Regione Lazio

“La realizzazione e la gestione delle Case Funerari – riporta l’articolo 2 – può essere affidata ai soggetti che esercitano l’attività funebre, previa (…) SCIA, completa del parere favorevole della ASL (…) Il comune (…) provvede alla vigilanza” e alla definizione dei requisiti che dovranno rispettare, con il rischio far west dietro l’angolo, in cui ogni municipio sceglie che strada prendere.

Nello stesso tempo, l’articolo 4 del regolamento stabilisce anche che le Case Funerarie non potranno essere situate negli ospedali o strutture socio-assistenziali pubbliche o private, ma ad una distanza non inferiore ai 100 metri da esse. In sostanza, Asl, ospedali e strutture socio-sanitarie ‘pubbliche’ rischiano forse così di restare relegato al solo ruolo di ‘controllori’ e ‘decisori’ dei requisiti, ma poco di più.

Anche le “sale del commiato” sono finite nella stessa filiera

Il binario non si è fermato alle Case Funerarie: la stessa logica è stata replicata per le Sale del Commiato. Anche qui è stata prevista la sola comunicazione al Comune e il parere ASL, ma il “chi gestisce” rischia di rimanere lo stesso privato. “La gestione della sala del commiato può essere affidata ai soggetti che esercitano l’attività funebre – spiega l’articolo 7 – previa comunicazione al comune competente”.

Pubblico “fuori gioco”: stop alle convenzioni con Comuni e sanità pubblica

Nel nuovo regolamento sono disciplinati vari aspetti tecnici, come temperature e umidità dei locali. Ma non si parla mai delle tariffe, se non in merito al fatto che “Le case funerarie – si legge nell’articolo 4 – non possono stipulare convenzioni con i comuni né con strutture sanitarie pubbliche per l’erogazione del servizio”. Il rischio, insomma, è che il costo del servizio risulti del tutto privo di vincoli e senza contropartita pubblica. Nel regolamento non compaiono strumenti di trasparenza tariffaria o comparazione. E l’utilità pubblica, senza regole sul costo, rischia di rimanere appesa alla buona volontà del mercato e dei privati.

Distanze e divieti: dove si possono aprire (e dove no)

Oltre alle distanze, è arrivato un altro paletto per le Case Funerarie: non potranno nascere in edifici con abitazioni. Nella realtà urbana laziale, questa prescrizione ha ristretto molto le possibilità e rischia di favorire chi ha immobili “giusti” e investimenti pronti: un profilo più da gruppi privati strutturati che da piccoli operatori di quartiere.

La questione politica: “dignità” sì, ma chi ha garantito l’equità?

La Regione Lazio, in parole povere, ha finalmente regolato spazi e procedure per le Case Funerarie, e introdotto standard. Però, con la gestione concentrata sugli operatori privati e con lo stop alle convenzioni pubbliche, il punto politico è diventato inevitabile. Il commiato è stato trattato come un servizio essenziale o come un semplice segmento di mercato? E, soprattutto, chi proteggerà davvero le famiglie più fragili quando il bisogno arriverà all’improvviso, anche e soprattutto sul fronte costi?