Rocca in passerella, i malati in attesa: il Governatore celebra i progressi della sanità del Lazio, i pazienti no

Chi si accontenta dei numeri, applaudirebbe: “96 % di appuntamenti entro i tempi previsti”, “20 milioni erogati per recuperare 425.000 prestazioni fuori soglia”, “ridotti i tempi medi da 42 a 10 giorni”. Da una parte c’è la Regione Lazio che, nella ricostruzione del Presidente Francesco Rocca durante una recente intervista, ha fatto un lifting digitale e organizzativo alla sanità regionale. Dall’altra, ci sono i pazienti che ancora aspettano visite che arriveranno il prossimo anno, visto che non tutti possono permettersi di correre dal privato con il portafogli in mano.
I numeri e le promesse di Rocca
Francesco Rocca ha incluso nel suo bilancio una serie di interventi: il nuovo ospedale Tiburtino a Tivoli Terme con bando entro fine anno, il progetto per un nuovo Policlinico Umberto I, 11.000 assunzioni e 3.300 stabilizzazioni. Sul fronte liste d’attesa, secondo il Governatore del Lazio si è passati dal 70 % di appuntamenti “in tempo” al 96%, grazie alla digitalizzazione del Cup regionale e all’inclusione del privato accreditato nelle agende digitali.

I tempi medi per una prima visita sarebbero calati drasticamente: la dermatologica da 686 a 130 giorni, quella oculistica da 724 a 185, la colonscopia da 730 a 135 giorni. Sono numeri che, se veri, segnano un passo avanti. Ma ecco dove iniziano le crepe.
Il paradosso dei tempi d’attesa (e dei pazienti che non ci arrivano)
I dati indipendenti raccontano una realtà diversa. Nonostante il miglioramento, resta un’enorme fetta di cittadini in difficoltà di accesso. Un’indagine di Cittadinanzattiva del 2024 indicava che quasi la metà dei residenti del Lazio non riusciva ad ottenere l’appuntamento richiesto, con il 41 % degli utenti che si spostava verso il privato a pagamento per non aspettare. Alcune prestazioni sono davvero migliorate: mammografie e risonanze magnetiche oggi richiedono solo pochi giorni d’attesa in alcune zone. Ma non basta: nei territori periferici, nelle aree meno servite, le “liste chiuse” o “bloccate” restano un’incognita, soprattutto per pazienti fragili o cronici.
Ma non basta: nei territori periferici, nelle aree meno servite, le “liste chiuse” o “bloccate” restano un’incognita, soprattutto per pazienti fragili o cronici.
Cup con recensioni negative
Basta leggere alcune recensioni del Cup Lazio su Google, quelle più recenti: “Molto meno di una stella perché oggi martedì 5 Agosto2025 ore 12:29 essendo stato chiamato dal n. 069939 dopo aver io più volte chiamato, chiedendo di poter avere una visita, mi viene risposto che in zona Roma 6 è tutto occupato e se ne parla l’anno prossimo”.
“Leggendo le esperienze di altri cittadini, ci si riconosce ed è evidente un metodo imposto dall’alto per rallentare ed impedire, allontanare i pazienti dalle prenotazioni del Cup Regione Lazio.
La dicitura non va bene, la prescrizione è sbagliata. I medici di famiglia non riconoscono le prescrizioni degli specialisti, loro colleghi della sanità pubblica. Nessun medico è più capace di incrociare un codice ed una patologia. Gira e rigira, si finisce (chi può) per andare da uno specialista a pagamento perchè sono tutti impazziti. Non si riesce a scrivere una ricetta come si deve, il Cup Regione Lazio non le riconosce, molti medici di famiglia comunicano solo via e-mail con pazienti spesso in pensione e poco avvezzi ad utilizzo di strumenti informatici. Conclusione? Diminuiscono magicamente le richieste e le liste di attesa, tra chi si arrende al non potersi curare e chi paga di tasca propria dal privato. Ottima performance! Grandi risparmi per la sanità pubblica, fonte di mille problemi per il disavanzo pubblico. Bravi, bravissimi, bis!”. E queste solo due. Le altre le potete leggere da soli…
Pazienti sfiduciati
Un paziente che non sta bene, ma non ha priorità clinica “urgente”, spesso si sente dire di prenotare sei-dodici mesi dopo. Il “trucco”? Prenotare un anno per un altro, se le liste sono aperte. Se sono controlli che si possono programmare, come quelli al cuore per i cardiopatici. Ma se ti senti male all’improvviso c’è un’alternativa: pregare, se sei credente. Evitiamo di dire l’altra, se non lo sei. Rocca parla di tempi d’attesa ridotti, ma i cittadini non lo percepiscono. E sono sfiduciati. Lo sono quando vanno dal medico di famiglia con le lacrime agli occhi chiedendo una soluzione. E lo sono quando al telefono con il CUP chiedono di “trovare un buco da qualche parte, perché quella visita serve assolutamente e i soldi per farla a pagamento non ci sono”. Lo sono quando si snocciolano numeri che per loro non significano nulla, fino a quando non ci sarà equità nei servizi sanitari, fino a quando anche chi non si può permettere di rivolgersi ai medici privati si potrà curare.
C’è poi il tema della priorità nelle ricette. Se un medico inserisce troppo spesso la priorità (anche laddove potrebbe essere meglio per il paziente), rischia controlli severi, perciò molti prescrivono come “differibili” anche patologie serie, pur di non finire sotto la lente.
11.000 assunzioni, ma dove finiscono i medici?
Il Governatore rivendica 11.000 nuove assunzioni e 3.300 stabilizzazioni. Ma i problemi strutturali restano, soprattutto nei territori. Rieti, Viterbo, Latina e le province in generale. Rocca ammette che la sanità rimane “romanocentrica”.
E senza strumenti normativi adeguati — per incentivare la permanenza dei medici nei territori, o per portare dotazioni al personale medico nei luoghi difficili — il rischio è di avere reparti nuovi e ospedali moderni, ma senza personale sufficiente a garantirne l’efficacia.
Non è un fallimento della buona volontà, ma un problema politico. La Regione può annunciare ospedali e assunzioni, ma la politica nazionale deve concedere leve legislative e incentivi concreti perché quei medici rimangano dove servono.
Le mosse concrete (e quelle mancanti)
Da un lato c’è un segnale positivo: la Regione Lazio ha puntato sulla sanità digitale, con sistemi come il ReCUP, il Fascicolo Sanitario Elettronico, la prenotazione online e la multicanalità digitale. Dall’altro, però, la “percezione” dei cittadini è ancora dominata da un senso di abbandono. Non serve tagliare nastri se chi sta male, piuttosto che piangere o spendere, resta a casa.
Il lavoro fatto da Rocca non è poco, e alcuni dati mostrano progressi reali, ma la distanza tra le dichiarazioni ufficiali e l’esperienza reale dei pazienti è ancora troppo ampia. Vantare numeri virtuosi su una percentuale del 96% non serve se quel 4% rappresenta migliaia di persone che non ce la fanno ad aspettare perché stanno male davvero, non solo per convenienza. Ma soprattutto se quel 96% non è reale, perché molti hanno rinunciato prima di diventare un numero da statistica, non appena sentito quali sono i tempi di attesa. Sono quelli i veri dati da analizzare.
La sfida politica di questi prossimi mesi è tutta lì: convincere chi fatica a curarsi che la sanità pubblica esiste e potrebbe funzionare. E non è una questione di bandi e assunzioni, ma di equità reale. Fare in modo che, anche senza portafogli gonfio, resti qualcosa in più della semplice speranza.
