Roma, artigiano costruisce una pistola con la stampante 3D per aggressioni razziali: condannato a sei anni e mezzo
 
                    Roma, aveva solo 21 anni, ma una competenza tecnica fuori dal comune: sufficiente per costruire in casa una pistola perfettamente funzionante utilizzando una stampante 3D. È stato condannato a sei anni e sei mesi di reclusione dal Tribunale di Roma un giovane artigiano della periferia capitolina, ritenuto responsabile di fabbricazione illegale di arma da fuoco e diffusione di materiale violento e razzista sul web.
L’indagine, condotta congiuntamente da Digos e Polizia Postale, aveva preso avvio nel maggio 2024, quando il ragazzo era stato arrestato dopo un blitz nel suo appartamento. Nella sua abitazione, gli agenti avevano rinvenuto una pistola artigianale ispirata al modello FGC-9. Un’arma progettata per essere prodotta integralmente con componenti stampati in 3D e facilmente reperibili online. La notizia è stata riportata da Canale 10. 
Dalla rete alla realtà: l’allarme della Polizia
Il giovane non si era limitato a costruire l’arma. Aveva anche pubblicato video e foto sui social, dimostrandone il funzionamento e vantandosi delle proprie capacità. Le immagini, circolate su piattaforme come Telegram, erano finite sotto la lente degli investigatori già da tempo.
Le forze dell’ordine avevano tracciato una fitta rete di contatti virtuali riconducibili a gruppi che diffondevano contenuti di odio razziale e violenza estrema. 
 
    Nelle chat emergevano riferimenti a episodi di aggressioni contro persone di colore e video di massacri a sfondo ideologico.
Un contesto che gli inquirenti hanno definito “un laboratorio di radicalizzazione online”. Dove la tecnologia diventa il veicolo per trasformare idee violente in potenziali minacce concrete. La capacità del ragazzo di replicare armi da fuoco a basso costo è stata ritenuta un elemento di rischio “immediato e reale” per la sicurezza pubblica.
L’uso distorto delle nuove tecnologie
Il caso ha acceso i riflettori su un fenomeno in espansione: la produzione domestica di armi con stampanti 3D, spesso realizzate da giovani autodidatti che seguono tutorial reperibili sul web.
Secondo la Polizia Postale, il ragazzo aveva studiato guide tecniche diffuse in rete per costruire l’arma. Acquistando online solo materiali comuni, apparentemente innocui, ma sufficienti per ottenere una pistola funzionante.
Si tratta di un fenomeno che preoccupa le autorità di sicurezza. Con pochi strumenti e una minima conoscenza informatica, è possibile creare armi non tracciabili, sottratte ai controlli di legge. Un pericolo che, in questo caso, si è intrecciato con propaganda razzista e istigazione alla violenza, amplificando la portata del rischio.
Il processo e la sentenza
Il procedimento giudiziario si è svolto con rito abbreviato, scelta che ha consentito la riduzione di un terzo della pena. La Procura di Roma aveva chiesto otto anni e otto mesi. Ma il giudice ha ritenuto congrua una condanna a sei anni e sei mesi, riconoscendo la gravità dei fatti ma anche alcune attenuanti personali.
Nella motivazione, il tribunale sottolinea come la condotta dell’imputato rappresenti “un campanello d’allarme per l’uso distorto delle tecnologie emergenti e dei canali digitali di comunicazione”. L’uso di strumenti informatici per la costruzione di armi e la diffusione di ideologie violente costituisce, secondo i giudici, una nuova forma di pericolo sociale, che impone una risposta ferma ma anche preventiva da parte delle istituzioni.
Il commento della difesa e il tentativo di recupero
A rappresentarlo in aula è stata l’avvocata Francesca Civitate, che ha descritto il giovane come “un ragazzo fragile, alienato dalla realtà e cresciuto in un mondo virtuale privo di confini”.
Dopo l’arresto, il 21enne è stato inserito in un percorso terapeutico e riabilitativo presso una comunità specializzata, con l’obiettivo di reinserirlo socialmente e di affrontare le sue dipendenze dal web e dai contenuti estremisti.
La difesa punta sulla dimensione educativa del caso, più che su quella punitiva: un richiamo al ruolo delle famiglie, delle scuole e delle piattaforme digitali nel prevenire derive violente alimentate da internet.
Un caso simbolo del rischio digitale
La vicenda segna un precedente importante: la giustizia italiana riconosce per la prima volta la combinazione tra violenza online e produzione di armi 3D come un pericolo concreto e immediato.
Un caso che spinge a interrogarsi sul rapporto tra giovani, tecnologia e radicalizzazione. La facilità con cui si può costruire un’arma e diffondere odio sui social rappresenta una sfida nuova per la sicurezza nazionale, ma anche per l’educazione civica e digitale.
Il messaggio che arriva dal Tribunale di Roma è chiaro: la rete non è un territorio senza legge, e le nuove frontiere della tecnologia non possono diventare rifugio per violenza e intolleranza.
