Roma, assolti i nove giovani che imbrattarono Fontana di Trevi con carbone vegetale: “Il Fatto non sussiste”

Roma, il blitz di Ultima Generazione a Fontana di Trevi

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Roma, si è concluso con un’assoluzione il processo a carico dei nove attivisti di Ultima Generazione che, il 21 maggio 2023, gettarono carbone vegetale nella Fontana di Trevi, tingendone temporaneamente l’acqua di nero. Il tribunale ha stabilito che “il fatto non sussiste” in relazione all’accusa di violazione del foglio di via e che l’imbrattamento è da considerarsi di “particolare tenuità”.

Una sentenza che segna un passaggio cruciale nel confronto tra attivismo ambientale e giustizia. I fatti risalgono a due anni fa, quando i giovani manifestanti, al grido di “Il nostro Paese sta morendo”, entrarono nella fontana simbolo della Capitale, esponendo striscioni della campagnaNon paghiamo il fossile”. L’azione durò pochi minuti, ma bastò a scatenare reazioni forti tra passanti e turisti. Oggi, arriva il verdetto: nessun danneggiamento, nessun reato.

Il blitz e la sostanza usata

Il blitz aveva attirato immediatamente l’attenzione pubblica e mediatica. Gli attivisti avevano scelto un luogo altamente simbolico, nel cuore turistico di Roma, per lanciare un messaggio ambientalista contro i sussidi ai combustibili fossili. Nell’acqua della fontana venne versato carbone vegetale, una sostanza che – come specificato dagli stessi attivisti – è completamente lavabile e non lascia danni permanenti.

Una scelta mirata: creare impatto visivo, senza arrecare danni strutturali. È stato proprio questo elemento a convincere il giudice dell’innocenza degli imputati. Anche la Procura, nel corso del processo, ha sostenuto l’insussistenza del reato, sottolineando il carattere simbolico e non violento dell’azione.

Reazioni e polemiche il giorno dell’azione

La mattina del 21 maggio 2023, la fontana si colorò di nero tra lo sconcerto dei turisti. Alcuni reagirono con rabbia, lanciando insulti agli attivisti. Ma l’azione si esaurì in pochi minuti. Gli agenti della Polizia Locale intervennero immediatamente per allontanare i manifestanti e avviare le operazioni di pulizia. Nessun danno strutturale venne rilevato. E ora anche il tribunale certifica che non ci fu deturpamento.

Un precedente: il caso della Barcaccia

La sentenza arriva pochi giorni dopo un’altra assoluzione, questa volta per tre attivisti accusati di aver colorato l’acqua della Barcaccia, la celebre fontana ai piedi della scalinata di Trinità dei Monti, il 1° aprile 2023. Anche in quel caso, stesso metodo e stessi slogan: carbone vegetale nell’acqua e striscioni contro il fossile. Il giudice ha ritenuto che l’azione non abbia causato danni e ha dichiarato i tre “non punibili” per la tenuità del fatto.

In quell’occasione, il pm aveva chiesto una condanna a quattro mesi, citando un presunto “rischio di danneggiamento” e un costo di 4.000 euro per la pulizia sostenuto dal Comune. Tuttavia, il tribunale ha scelto di non criminalizzare un gesto considerato simbolico e non pericoloso per l’integrità dell’opera.

Giustizia e repressione: due strade in conflitto

Le due sentenze consecutive delineano un orientamento giurisprudenziale che pone un freno alle derive repressive verso l’attivismo ecologista. A fronte di misure governative sempre più severe – come quelle contenute nel cosiddetto “decreto sicurezza” – i tribunali sembrano riconoscere la legittimità delle azioni dimostrative che non causano danni materiali.

Il caso della Fontana di Trevi e quello della Barcaccia rappresentano episodi chiave nel dibattito sulla libertà di protesta in Italia. Azioni visivamente forti, ma prive di violenza o danni permanenti, che aprono un varco nel confronto tra dissenso civile e risposta penale.

Un messaggio che resta

Alla fine, resta la fotografia di quei pochi minuti: giovani immersi nell’acqua scura, striscioni al vento, turisti spaesati. Ma soprattutto resta un messaggio che i giudici, implicitamente, hanno ritenuto degno di essere ascoltato, non punito.

Le assoluzioni dei giorni scorsi tracciano una linea chiara: la protesta pacifica, se simbolica e priva di effetti duraturi, non può essere assimilata al vandalismo. La giustizia, almeno in questi casi, non ha confuso il carbone con la colpa.