Roma, blitz multiplo contro la criminalità organizzata: 5 in manette
Roma si è svegliata all’alba con un’operazione militare di precisione. I Carabinieri della Compagnia di Montesacro, spalleggiati dai reparti speciali e dai cinofili di Santa Maria di Galeria, hanno fatto irruzione in diversi covi della periferia est. Obiettivo: smantellare un gruppo criminale radicato e temuto, attivo tra Ponte Mammolo e l’ansa del fiume Aniene. Cinque persone – tre uomini e due donne – sono finite in carcere con accuse pesantissime: rapina, furto aggravato, estorsione e ricettazione. Tutti reati commessi con una ferocia glaciale e una sistematicità che raccontano di un’organizzazione non improvvisata, ma ben strutturata.
L’ombra di un omicidio efferato
L’indagine nasce da un fatto di sangue che aveva scosso Roma: l’omicidio di Roman Stefan Mihai, brutalmente ucciso l’8 marzo 2023. Un delitto efferato che aveva già portato, lo scorso febbraio, all’arresto di tre persone. Da quell’inchiesta si è aperto un vaso di Pandora. I Carabinieri hanno ricostruito i fili di una rete criminale che, approfittando del clima di paura, ha trasformato Ponte Mammolo in una base logistica per rapine, minacce e racket. Una zona diventata terreno fertile per un clan che colpiva con spregiudicatezza, senza temere nulla né nessuno.
Il metodo della violenza
Gli investigatori hanno documentato episodi di violenza che rivelano il modus operandi degli indagati. Una delle rapine ricostruite ha un copione degno della peggiore cronaca nera: la vittima attirata con un pretesto, poi aggredita a calci e pugni, derubata di tutto – portafogli, chiavi, cellulari – e lasciata tramortita a terra, con lesioni evidenti. Non un gesto isolato, ma il marchio di un gruppo abituato a usare la violenza come strumento di controllo.
Furti e “cavalli di ritorno”
Oltre alle rapine, il gruppo si sarebbe specializzato nel furto e nella ricettazione di auto e moto. I veicoli venivano smontati, rivenduti a ricettatori compiacenti o utilizzati per un business redditizio: il cosiddetto “cavallo di ritorno”. In pratica, i proprietari erano costretti a pagare un vero e proprio riscatto per riavere ciò che gli era stato sottratto. Un metodo arcaico ma ancora tristemente efficace, che ha arricchito e rafforzato il clan nel silenzio delle periferie.
La violenza in famiglia
Tra le indagate c’è anche una donna accusata di aver terrorizzato i propri familiari pur di ottenere denaro. Minacce di gravi lesioni, persino di morte, rivolte ai congiunti: un escalation di violenza domestica che svela l’assenza totale di limiti e scrupoli. Non solo un clan che spadroneggiava per le strade, dunque, ma un potere criminale capace di divorare anche i legami più intimi.
Il blitz e le scoperte
Durante le perquisizioni i Carabinieri hanno trovato una pistola scacciacani senza tappo rosso, nascosta nella camera da letto di uno degli arrestati. Non un’arma da fuoco vera, ma un segnale chiaro: l’intenzione di intimidire, di seminare paura, era parte integrante del codice del gruppo.
E c’è un altro aspetto inquietante. Nelle aree vicine alle abitazioni degli indagati, a ridosso dell’Aniene, i militari hanno scoperto discariche abusive di rifiuti speciali e urbani, anche pericolosi. Due persone sono state denunciate. Un intreccio tra criminalità e degrado ambientale che fotografa la totale assenza di rispetto per il territorio e per la vita di chi lo abita.
Un segnale forte della Procura
Questa operazione rappresenta l’ennesimo colpo inferto dalla Procura di Roma e dall’Arma dei Carabinieri a un tessuto criminale che, nelle periferie, sembra replicarsi come un virus. Colpire i clan che vivono di violenza, racket e paura significa restituire respiro a quartieri soffocati dal ricatto quotidiano. Un segnale di presenza dello Stato, che in queste zone deve essere costante per evitare che la criminalità torni a occupare gli spazi lasciati liberi.
La cautela della legge
Naturalmente, come ricordano i magistrati, siamo ancora nella fase delle indagini preliminari. Gli arrestati restano innocenti fino a un’eventuale sentenza definitiva. Ma il quadro emerso è già di per sé agghiacciante: un clan che si muoveva con sistematicità, che sapeva colpire in modo rapido ed efficace, e che trasformava la violenza in una fonte di reddito.
Roma oggi tira un sospiro di sollievo, ma la domanda resta: quanti altri gruppi simili operano nell’ombra delle periferie, pronti a replicare lo stesso copione?