Roma, cartelle pazze dell’Ama, sede assalita dai cittadini: “Conti errati, personale allo stremo, sicurezza ignorata”
Roma, alla sede Ama della Montagnola, in questi giorni, la scena si ripete uguale: corridoi affollati, file interminabili, volti tesi e voci alterate. Decine di cittadini che brandiscono avvisi di pagamento della Tari e parlano di “cartelle pazze”, richieste di arretrati che in molti casi non riconoscono come dovuti. Dentro gli uffici, il personale è allo stremo, costretto a gestire una mole di reclami fuori controllo, spesso senza strumenti adeguati e con condizioni di lavoro giudicate critiche dagli stessi rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza.
Nel mirino ci sono oltre 100mila accertamenti spediti da Ama per presunti mancati pagamenti o pagamenti parziali della tassa rifiuti. Un numero enorme che, secondo diverse segnalazioni, nasconde una quantità altrettanto enorme di errori.
Errori nelle bollette: indirizzi sbagliati e utenze chiuse
Molte delle richieste di pagamento contestate dai cittadini riguardano situazioni paradossali: utenze inesistenti, immobili venduti anni fa, contratti di affitto cessati da tempo. C’è chi si è visto recapitare un accertamento da centinaia o migliaia di euro per una casa che non possiede più, o per locali che non utilizza da anni.
Gli importi richiesti variano, secondo le denunce raccolte, dai 300 euro ai 4mila euro. Un peso potenzialmente devastante per famiglie e piccoli esercenti, soprattutto se si considera il contesto economico generale. Il problema, però, non è solo la cifra: è la credibilità del sistema di gestione della Tari ad apparire gravemente compromessa.
Il caso della prescrizione “allungata” e le risposte fuorvianti
Tra gli episodi più emblematici spicca quello di un cittadino che ha ricevuto un accertamento per un presunto mancato pagamento di sei anni fa, risalente quindi al 2019. Alla sua osservazione sulla prescrizione di cinque anni, si sarebbe sentito rispondere da un’operatrice dell’ufficio Tari che al conteggio andrebbe aggiunto anche l’anno di “ravvedimento operoso”, come se ciò prolungasse automaticamente i termini.
Una interpretazione che non trova riscontro nelle norme e che rischia di disorientare ulteriormente i contribuenti. Invece di fornire chiarimenti puntuali e istruzioni certe, il cittadino si trova davanti a spiegazioni confuse che alimentano sfiducia e sospetto. Per molti, il confine tra errore e disinformazione appare ormai labile.
Montagnola, la sede sotto pressione: rischi per sicurezza e salute
Dopo la chiusura della sede di Capo d’Africa, il personale Ama è stato trasferito alla Montagnola, in ambienti che sarebbero, secondo quanto riportato dai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, non conformi alle norme del Testo unico sulla sicurezza (D.Lgs. 81/2008).
Le criticità segnalate parlano di postazioni troppo affollate, rumore costante e insostenibile, mancanza di separatori fonoassorbenti, spazi stretti, illuminazione inadeguata e arredi non ergonomici. In queste condizioni, gestire un flusso continuo di utenti esasperati non significa solo stress: significa esposizione a rischi concreti per la salute psicofisica e la sicurezza degli operatori. Una guardia giurata sarebbe rimasta persino ferita a una mano nel tentativo di contenere una situazione degenerata.
Tensione crescente: risse sfiorate e personale lasciato solo
I racconti che arrivano dalla Montagnola parlano di giornate in cui la tensione sale rapidamente: litigi tra utenti, urla, risse sfiorate. Il personale di sportello è il primo bersaglio del malcontento, pur non avendo responsabilità diretta sugli errori nelle cartelle.
La percezione diffusa tra gli operatori è quella di essere “abbandonati”: da un lato, devono rispondere a cittadini arrabbiati che chiedono spiegazioni immediate; dall’altro, lamentano l’assenza di un’organizzazione chiara nella gestione degli accessi, dei flussi e dei sistemi di sicurezza. Pochi strumenti, poche indicazioni, nessun filtro reale tra l’utenza e chi lavora al front office. Un mix potenzialmente esplosivo.
Il nodo politico: responsabilità, controlli e sanzioni
La vicenda delle cartelle pazze non è solo una questione amministrativa, ma anche politica. Sul banco degli imputati finiscono Ama e, per riflesso, l’amministrazione capitolina chiamata a vigilare. Da più fronti si chiede al Sindaco e agli assessori competenti di intervenire con decisione, applicando le sanzioni previste nei confronti dell’azienda per gli errori contestati e, soprattutto, sospendendo immediatamente le cartelle errate.
L’obiettivo dichiarato è uno: evitare che Roma debba subire danni, non solo economici ma anche d’immagine, per una gestione percepita come caotica e inaffidabile di un tributo essenziale come la Tari. La richiesta è di ristabilire criteri chiari, controlli rigorosi e una catena di responsabilità trasparente.
La richiesta: bloccare e annullare le cartelle inesatte
Sul piano concreto, le opposizioni chiedono due mosse immediate: bloccare il fenomeno alla radice e annullare tutte le cartelle palesemente inesatte. Solo dopo una revisione accurata, frutto di controlli puntuali e tracciabili, gli eventuali accertamenti dovrebbero essere nuovamente notificati ai cittadini.
In altre parole, si chiede di fermare la macchina, correggere gli errori e ripartire da un sistema affidabile. Una condizione minima per ricostruire il rapporto di fiducia tra Ama, Palazzo Senatorio e contribuenti romani. Senza questo passaggio, ogni nuova lettera in cassetta rischia di essere percepita non come un atto dovuto, ma come l’ennesima “cartella pazza”.
Il fronte politico: due visioni diverse ma un allarme comune
I due comunicati politici che hanno acceso i riflettori sul caso – quello della Lega, firmato da Fabrizio Santori, e quello del Movimento 5 Stelle con Daniele Diaco e Stefano Rosati – provengono da forze spesso agli antipodi, ma convergono sorprendentemente su un punto: la gestione Ama della Tari è fuori controllo e richiede un intervento immediato. Santori insiste sulla necessità di sanzionare l’azienda e di sospendere subito le cartelle errate, sottolineando il rischio per la salute e la sicurezza dei lavoratori e la totale mancanza di organizzazione negli sportelli.
M5S invece punta il dito sugli errori “grossolani” che minano la fiducia dei cittadini, chiedendo a Sindaco e Assessora di bloccare tutte le notifiche inesatte e di ripartire solo da verifiche corrette. Due letture, due accenti diversi, ma la stessa conclusione: Roma non può permettersi un sistema fiscale traballante né una macchina amministrativa che scarica sui cittadini il peso di errori interni. La politica, per una volta, sembra compatta nel denunciare un problema che ha ormai superato la soglia dell’emergenza.