Roma, casa del Jazz, riprendono gli scavi alla ricerca del giudice scomparso nell’ex parco della Banda della Magliana
Sotto uno dei luoghi simbolo della Roma “ripulita” dalla criminalità organizzata—la Casa del Jazz—si torna a scavare. Dopo lo stop imposto dal maltempo, oggi riparte una nuova fase delle operazioni: sopralluogo tecnico e, a seguire, trivellazioni per raggiungere un cunicolo sotterraneo di epoca romana, chiuso e “tombato” da decenni. È qui che, secondo le informazioni raccolte negli ultimi mesi, potrebbe trovarsi persino il corpo del magistrato Paolo Adinolfi, scomparso nel nulla il 2 luglio 1994.
Pubblica utilità: non è solo un “giallo”, è anche una questione di sicurezza
Questa storia non riguarda soltanto la memoria e la giustizia. Riguarda anche la sicurezza di un bene pubblico frequentato ogni giorno, con eventi, visite, lavoratori e cittadini che entrano e escono da un’area che, sotto terra, potrebbe nascondere rischi reali. Tra le ipotesi in campo c’è la presenza nel tunnel di materiali pericolosi: armi, vecchi depositi, e perfino residuati bellici. Per questo il lavoro sul posto viene svolto con cautele rafforzate e con la sorveglianza di reparti specializzati.
Il punto politico: lo Stato riconquista un bene, ma sotto resta l’ombra
La Casa del Jazz è diventata negli anni il simbolo di un messaggio potente: ciò che era stato comprato e gestito da figure legate alla criminalità può essere riconsegnato alla città e trasformato in cultura. La villa, passata nelle mani di Enrico Nicoletti—storicamente indicato come il “cassiere” della Banda della Magliana—è stata confiscata e poi rilanciata come presidio pubblico. Un riscatto concreto, rivendicato da più amministrazioni come un modello.
Eppure oggi quel modello si ritrova a fare i conti con un paradosso tipicamente italiano: sopra, concerti e legalità; sotto, un passaggio segreto che qualcuno avrebbe deliberatamente chiuso per cancellare un accesso e, con esso, possibili tracce. Se davvero l’ingresso del cunicolo fu murato con un abuso edilizio, non sarebbe solo un dettaglio urbanistico: sarebbe un gesto “politico” nel senso più cupo del termine, un modo per riscrivere la realtà a propria convenienza.
La pista: la scala in tufo e il testimone che “ci è sceso”
A indicare un punto preciso, negli anni, sono stati più testimoni. Tra questi anche un religioso che, da giovane, avrebbe frequentato la villa quando non era ancora ciò che è oggi. Il racconto è netto: nel vecchio casino di caccia—oggi area destinata alla musica—ci sarebbe stata una porta, dietro la quale iniziava una scala in tufo. Una trentina di gradini per scendere sotto terra, dentro un tunnel.
Quella porta, secondo la ricostruzione, sarebbe stata eliminata. E l’accesso, tombato.
Chi era Adinolfi, il magistrato sparito nel nulla
Paolo Adinolfi aveva 52 anni. Uscì di casa dicendo che sarebbe tornato a pranzo e non rientrò mai. Non era un imprenditore, non era un politico, non era un personaggio da copertina: era un magistrato. Proprio per questo la sua scomparsa pesa come un macigno nella storia repubblicana. Nel tempo, la vicenda è stata accostata a contesti delicati—come l’area fallimentare e i circuiti economici—dove interessi, pressioni e silenzi possono diventare più forti delle persone.
Il punto, oggi, è che a oltre trent’anni di distanza non si può accettare che tutto resti sospeso nel “forse”. Se esiste un luogo concreto dove cercare, la ricerca diventa un dovere pubblico.
Perché adesso? E cosa significa davvero questo scavo
Le operazioni hanno ottenuto un via libera istituzionale sul piano della sicurezza, ma non si tratta di una “scena da film”: è un lavoro lento, prudente, fatto di rilevazioni e perforazioni mirate per raggiungere un vuoto sotterraneo che non è facilmente accessibile. Il cunicolo—secondo le prime stime—si troverebbe a circa 15 metri di profondità e avrebbe un’estensione non banale.
E qui torna la domanda politica: com’è possibile che un bene così importante, per anni, abbia avuto sotto di sé un’area potenzialmente non mappata, non verificata, chiusa da interventi opachi del passato? È il classico conto che Roma paga a strati: l’antico sotto, il moderno sopra, e in mezzo decenni di gestione dove la trasparenza spesso arriva dopo, mai prima.
L’effetto domino: l’eco del caso Orlandi e il bisogno di verità
Ogni scavo “sensibile” a Roma attira inevitabilmente aspettative, collegamenti, speranze. È successo anche qui: la notizia ha riacceso l’attenzione di chi, da decenni, cerca risposte su altre sparizioni eccellenti. Ma il punto non è inseguire scorciatoie narrative. Il punto è un altro: quando la città decide di aprire una porta murata, lo fa per ragioni che vanno oltre il singolo caso.
Perché se sopra la Casa del Jazz è la prova che il pubblico può vincere, sotto quel terreno potrebbe esserci la prova contraria: che certe ombre non se ne sono mai andate davvero. E allora scavare non è solo cercare un corpo. È costringere il passato a smettere di nascondersi.