Roma, concorso per 690 Vigili, la graduatoria sottovaluta l’anzianità: il Tribunale bacchetta il Campidoglio

Roma, il Campidoglio, sede

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Roma, un concorso mastodontico, oltre duemila posti messi in palio per i dipendenti capitolini, 690 per soli Vigili, ossia agenti di Polizia Locale, nel 2023. Una procedura di progressione interna che avrebbe dovuto premiare merito ed esperienza e che invece si è trasformata in un caso giudiziario. Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio ha messo nero su bianco il problema: il Campidoglio ha sbagliato a scrivere le regole della gara, due anni fa. Il cuore della contestazione riguarda la valutazione dell’anzianità di servizio. Un criterio che avrebbe dovuto garantire equità e trasparenza, ma che, secondo i giudici, è stato piegato in modo da favorire chi aveva maturato esperienza solo all’interno dell’amministrazione romana. Una scelta che ha finito per penalizzare lavoratori con identico curriculum maturato in altri enti pubblici.

La decisione del Tar sul concorsone di Roma: anzianità sottovalutata

La sentenza di oggi 16 settembre, che segue il ricorso presentato da una dipendente comunale che vi ha partecipato, è chiara: la graduatoria approvata dal Campidoglio viola il regolamento stesso che la giunta aveva varato nel 2023. Secondo i giudici, la norma che assegna punteggi diversi all’esperienza maturata a Roma rispetto a quella conseguita in altri Comuni o amministrazioni non ha alcuna base giuridica.

La Corte ha stabilito che il Comune non poteva introdurre, nell’avviso pubblico, un criterio più restrittivo rispetto a quello fissato nel regolamento. Un regolamento che, al contrario, parlava di esperienza professionale tout court, senza distinguere tra servizio prestato a Roma o altrove. La scelta dell’amministrazione è stata bollata come “illegittima” e “irragionevole”.

L’effetto domino di Roma sul concorsone, graduatoria da rivedere

Il verdetto non riguarda, molto probabilmente, solo un singolo ricorso, ma apre scenari ben più ampi. L’annullamento del voto assegnato in graduatoria tocca direttamente l’intera procedura di selezione per 690 posti di funzionario di polizia locale, uno dei profili più ambiti del concorso. E i voti assegnati a tutti costoro per la relativa anzianità di servizio.

Secondo il Tar, il Campidoglio dovrà ricalcolare i punteggi dei candidati, applicando i criteri corretti. In altre parole, l’esperienza maturata in altri Comuni dovrà valere quanto quella svolta nella Capitale. Una rivoluzione che rischia di rimettere in discussione decine di posizioni e di riaccendere i malumori tra i dipendenti rimasti fuori dalle graduatorie.

Le responsabilità politiche di Roma

La vicenda è lo specchio di un problema politico che va oltre la mera questione tecnica. La giunta aveva approvato un regolamento, salvo poi contraddirlo nell’avviso di concorso. Una scelta che, secondo i giudici, ha generato disparità di trattamento e violato il principio di buon andamento sancito dalla Costituzione.

Una partita aperta

Il Campidoglio, a questo punto, è obbligato a rimettere mano alle graduatorie e a rivedere le regole applicate. Non si tratta solo di un adeguamento formale: la rettifica potrebbe cambiare il destino professionale di numerosi dipendenti. Per qualcuno sarà l’occasione di scalare la lista, per altri il rischio di perdere il posto appena conquistato.

Il TAR, pur accogliendo il ricorso, ha scelto di compensare le spese di giudizio, riconoscendo la “novità della questione”. Una magra consolazione per l’amministrazione capitolina, che dovrà comunque fare i conti con le conseguenze politiche e organizzative della decisione.

Il messaggio dei giudici

La sentenza invia un segnale forte: i concorsi pubblici non sono terreno di discrezionalità assoluta. Le regole devono essere rispettate, soprattutto quando si tratta di riconoscere il valore dell’esperienza maturata dai lavoratori.

Il Tar ha sottolineato che equiparare l’esperienza di un vigile urbano di Roma a quella di un collega di Milano non è una concessione, ma un atto dovuto di equità e razionalità amministrativa. Ignorarlo significa violare i principi fondamentali della pubblica amministrazione. In ogni caso, il Campidoglio, in alternativa, ha facoltà di presentare ricorso di secondo grado al Consiglio di Stato contro tale sentenza.

Un banco di prova per il Campidoglio

Ora, invece, il rischio è che la ‘partita’ si trasformi in una nuova polemica politica. I giudici hanno indicato la strada: serve coerenza, trasparenza e rispetto delle regole. Toccherà alla politica dimostrare di saperne fare tesoro, senza trasformare l’ennesima vicenda amministrativa in un terreno di scontro e accuse reciproche.