Roma costretta a gestire depuratore, fogne e rete idrica di Casal Palocco: il Consorzio batte il Campidoglio in Tribunale

Roma, sullo sfondo la mappa del Consorzio di Casal Palocco, nel X Municipio, in primo piano sindaco di Roma Gualtieri e mini-sindaco Falconi

Si chiude con una vittoria per i cittadini una lunga battaglia legale che ha visto il Consorzio di Casal Palocco contro il Comune di Roma. Con una sentenza destinata a fare giurisprudenza, il Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) del Lazio ha stabilito l’obbligo per il Campidoglio di prendere in carico e gestire il depuratore, la rete fognaria e l’acquedotto della zona, opere che per oltre sessant’anni sono state a carico dei consorziati, con tutte le relative spese. La decisione pone fine a un contenzioso che si trascinava dal 1960 e apre nuovi scenari per la gestione delle infrastrutture urbane nelle lottizzazioni private.

Lunga battaglia legale tra Consorzio di Casal Palocco e Roma, come dDavide e Golia

Il ricorso del 2023, presentato due anni fa dal Consorzio di Casal Palocco e da alcuni residenti – dopo che una sorta di ‘trattativa politica tra le parti’ si era chiusa con una fumata nera – chiedeva formalmente che il Comune di Roma si facesse carico di opere di urbanizzazione realizzate dalla Società G. I. nell’ambito di una convenzione stipulata nel 1960. All’epoca, l’accordo prevedeva la creazione di un quartiere residenziale completo di strade, fognature, illuminazione e rete idrica.

Pur riconoscendo la natura pubblica di queste infrastrutture, il Comune di Roma aveva finora delegato la loro gestione al Consorzio, lasciando ai cittadini l’onere finanziario della manutenzione e del funzionamento.

Nel corso degli anni, il Campidoglio aveva progressivamente preso in carico alcune delle opere, come le strade e parte dell’illuminazione pubblica. Ma aveva sempre escluso gli impianti idrici e fognari, sostenendo che l’accordo iniziale non ne prevedesse esplicitamente il trasferimento.

La svolta del Tar: l’obbligo di acquisizione è implicito, per i giudici: Roma costretta alla gestione

La sentenza del Tar del Lazio ribalta completamente la posizione del Comune. I giudici hanno respinto le argomentazioni del Comune di Roma, affermando che la natura stessa delle opere di urbanizzazione le rende di fatto “pubbliche” e che l’obbligo di acquisizione da parte dell’ente locale è una condizione implicita e imprescindibile.

La decisione si basa su un principio giuridico consolidato: le opere destinate a un servizio collettivo, come un depuratore o un sistema fognario, non possono restare in proprietà privata. Ma devono necessariamente entrare a far parte del patrimonio pubblico per garantirne una gestione stabile e al servizio della collettività.

Il Tribunale ha richiamato anche l’articolo 28 della legge urbanistica 1150/1942, sebbene introdotto successivamente alla convenzione del 1960, per confermare il principio generale che le opere di urbanizzazione primaria devono essere cedute gratuitamente al Comune.

Depuratore e rete fognaria a carico del Campidoglio

La sentenza del Tar, pur accogliendo la richiesta di presa in carico delle infrastrutture, ha respinto le richieste di risarcimento avanzate dai ricorrenti. Il Consorzio e i residenti avevano chiesto quasi 5 milioni di euro per le spese sostenute negli ultimi dieci anni per la gestione e la manutenzione degli impianti.

I giudici hanno ritenuto che non vi fosse un danno dimostrabile, in quanto i consorziati avrebbero dovuto sostenere comunque dei costi per questi servizi, anche se gestiti da un ente pubblico come ACEA. Inoltre, il tribunale ha dichiarato inammissibile l’annullamento delle vecchie delibere comunali che avevano negato il trasferimento, ritenendole superate dalla decisione odierna.

Ora, il Comune di Roma ha sei mesi di tempo, a partire dalla notifica della sentenza, per effettuare il collaudo delle opere e procedere alla loro acquisizione, ponendo fine a un’anomalia durata più di sessant’anni. Il comune di Roma ha in ogni caso la facoltà di presentare ricorso al Consiglio di Stato, secondo e ultimo grado della Giustizia Amministrativa, contro tale sentenza di primo grado.