Roma, degrado al Giardino della Giustizia: lapidi dei giudici vandalizzate, simbolo antimafia abbandonato nell’oblio

Roma, Giardino della Giustizia

Il Giardino della Giustizia di via Schiavonetti, nel quartiere Romanina a Roma, avrebbe dovuto essere un luogo di memoria viva, simbolo di legalità e rispetto per chi ha sacrificato la propria vita nella lotta contro la mafia. Eppure, secondo la denuncia pubblica di Luca Laurenti, quel luogo è oggi un simbolo di abbandono e ipocrisia.

Laurenti, insieme a Roberto Lattanzi, racconta in un video il decadimento progressivo di quest’area, visitata più volte negli anni e divenuta il teatro grottesco di una tragicommedia che ha coinvolto due amministrazioni comunali: prima quella di Virginia Raggi, poi quella di Roberto Gualtieri.
Il parco era stato concepito per onorare la memoria dei giudici uccisi dalla mafia, piantando 27 querce, ciascuna accompagnata da una lapide commemorativa.

L’inaugurazione del giardino è avvenuta in pompa magna, con cerimonie ufficiali, scolaresche, politici in prima fila, discorsi solenni, semi lanciati a terra come simbolo di rinascita. Tutto documentato, fotografato, e condiviso su social e media come esempio virtuoso di impegno civile.

Ma dietro la retorica, il vuoto.

Lapidi vandalizzate e querce morenti

Con amara ironia, Laurenti ricorda come le querce siano morte di sete più volte nel corso degli anni. E ogni volta, sono state rimpiazzate da nuove piante, destinate allo stesso triste destino. Ben quattro reimpianti, due sotto la giunta Raggi e due sotto quella Gualtieri, tutti realizzati con fondi pubblici.

Oggi, a distanza di anni, le 27 querce ci sono, apparentemente vive, ma ciò che manca è la memoria. Le lapidi commemorative, che dovevano accompagnare ciascun albero, sono quasi tutte scomparse: alcune vandalizzate, altre inghiottite dalle erbacce. Poche restano integre, e anche queste versano in condizioni pietose.

“Così è morto il Giardino della Giustizia – denuncia Laurenti – e con esso il ricordo di quei magistrati che hanno sacrificato la loro vita. Politici e istituzioni li hanno prima celebrati per fini propagandistici, poi dimenticati”. Una denuncia dura, che punta il dito contro l’uso strumentale della memoria da parte delle amministrazioni locali.

Laurenti si chiede cosa penseranno oggi quei bambini che, durante le cerimonie, ascoltavano sermoni sulla legalità, spargendo i semi della speranza. Saprebbero che quei gesti simbolici sono serviti solo al tornaconto di qualcuno?

Il timore, conclude, è che anche queste nuove querce faranno presto la stessa fine delle precedenti. Un altro ciclo di degrado, indifferenza e disillusione che cancella il senso stesso di quei sacrifici. La parola “fine” sembra vicina, ma sarà solo l’ennesimo silenzio colpevole?