Roma, femminicidio di Ilaria Sula, parte il processo all’ex fidanzato Mark Samson. I genitori: “Giustizia”
È iniziato a Roma, davanti alla Terza Corte d’Assise, il processo a Mark Samson, il ventitreenne accusato dell’omicidio della sua ex fidanzata, Ilaria Sula, studentessa universitaria di Terni. L’aula di piazzale Clodio era gremita. Tra i presenti, i genitori della giovane vittima, il fratello, amici, compagni di università e molti cittadini che, indossando una maglietta con il volto di Ilaria e la scritta “Giustizia per Ilaria”, hanno voluto testimoniare la loro vicinanza alla famiglia e ribadire il valore civile di questa battaglia.
Nel box degli imputati, Samson ha mantenuto per tutto il tempo un atteggiamento apparentemente immobile, lo sguardo fisso verso il pavimento. Accanto a lui, anche i suoi genitori. Nessuna parola, nessun gesto. Solo un silenzio pesante, quello che accompagna spesso i primi passi di un processo che scuote l’opinione pubblica.
Il delitto che ha sconvolto Roma e Terni
I fatti risalgono a marzo scorso. Ilaria Sula, studentessa iscritta alla Sapienza, è stata uccisa nell’appartamento di via Homs, nel quartiere Africano, con tre coltellate al collo. Il suo corpo, nascosto in una valigia, fu poi abbandonato in un dirupo nei pressi di Capranica Prenestina, alle porte di Roma.
Un delitto efferato, che ha suscitato profonda indignazione e rinnovato il dibattito sul tema della violenza di genere. Samson, fermato dopo poche ore di indagine serrata, aveva confessato. Ma le modalità e la freddezza con cui avrebbe agito hanno colpito anche gli inquirenti: “Un gesto lucido, pianificato”, scrissero i magistrati nel provvedimento di custodia cautelare.
Le accuse e l’impianto dell’accusa
A carico del giovane la Procura di Roma, con il coordinamento del procuratore aggiunto Giuseppe Cascini, contesta l’omicidio volontario aggravato da premeditazione, futili motivi e relazione affettiva con la vittima, oltre all’occultamento di cadavere.
L’inchiesta ha rivelato un quadro inquietante: messaggi minacciosi, ossessione e controllo. In uno di questi, Samson scriveva a Ilaria: “O torni con me o la uccido”. Parole che oggi assumono il peso di una condanna morale ancora prima che giudiziaria.
Il giudizio immediato, chiesto e ottenuto dai pm, è stato disposto in virtù delle prove ritenute “granitiche”. La madre dell’imputato, accusata di concorso nell’occultamento del corpo, è invece in attesa di una decisione separata: il 28 novembre il gip dovrà valutare la richiesta di patteggiamento a due anni di reclusione.
Le parti civili: università e associazioni in campo
Alla prima udienza hanno chiesto di costituirsi parte civile non solo i familiari della vittima, ma anche l’Università La Sapienza, dove Ilaria studiava, rappresentata dall’avvocato Borgogno. A fianco della famiglia, anche diverse associazioni impegnate nella tutela delle donne e delle vittime di reato: Marta per tutti, l’Associazione italiana vittime di reato e Penelope Lazio.
Una presenza importante, simbolica, che sottolinea come questo processo non riguardi solo una tragedia individuale, ma una ferita collettiva. L’obiettivo è dare un segnale forte: la comunità accademica e civile non intende restare in silenzio di fronte all’ennesimo femminicidio.
Il dolore dei genitori: “Non può esserci giustizia per chi perde un figlio”
All’uscita dall’aula, le parole della madre e del padre di Ilaria hanno lasciato il segno. “Vogliamo solo giustizia. È un dolore che non finisce mai”, hanno detto, visibilmente provati.
Il loro legale, l’avvocato Giuseppe Sforza, ha sottolineato l’importanza del processo come momento di verità: “La giustizia che potrà dare il Tribunale è fondamentale, e la famiglia sarà presente a ogni udienza. Ma per i genitori, una vera giustizia non esiste: giustizia sarebbe stata vedere la figlia tornare a casa, uscire dall’università, vivere la sua vita”.
Parole che riassumono il senso di impotenza e di rabbia che circonda molti casi di violenza di genere, dove la legge può punire, ma non restituire ciò che è stato strappato.
Un processo simbolo contro la violenza di genere
Il processo a Mark Samson, che riprenderà il 9 dicembre nell’aula bunker di Rebibbia, è destinato a diventare uno dei casi simbolo della lotta ai femminicidi in Italia. Il pubblico ministero ha già chiesto di ascoltare come testimoni gli agenti intervenuti la notte del delitto e gli investigatori della Squadra Mobile del commissariato San Lorenzo, che hanno ricostruito le ultime ore di vita di Ilaria.
Sul banco dei giudici, non c’è solo la responsabilità di un singolo uomo, ma il peso di una società che ogni anno conta decine di donne uccise per mano di chi diceva di amarle.
A Roma, il nome di Ilaria Sula è già diventato un simbolo. Un richiamo alla necessità di educare, prevenire, proteggere. Perché la giustizia, quella vera, non si esaurisce in una sentenza, ma nel cambiare le coscienze di un Paese intero.