Roma, i tavolini esterni del ristorante non sono abusivi: sberla del Tribunale al Campidoglio (più ‘multa’)

Roma ristorante in zona piazza Re di Roma, foto Google Maps

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Roma, a Piazza Tarquina, in un’area residenziale del VII Municipio, il ristorante G. L. da anni tiene tavolini e strutture su una porzione di suolo pubblico. Per il Comune di Roma si trattava di una occupazione senza titolo, da punire con multe e ordine di rimozione. Per i giudici amministrativi, invece, il vero problema sta nella gestione del procedimento da parte del Comune. Con una recente sentenza, il TAR del Lazio ha annullato i provvedimenti repressivi, riportando al centro il tema dell’uso degli spazi pubblici e dei diritti degli esercenti.

Domande presentate in pieno Covid, poi il silenzio della burocrazia di Roma

Tutto inizia nel maggio 2020, nel pieno dell’emergenza Covid. La società che gestisce il ristorante presentava due domande di occupazione di suolo pubblico: una secondo le regole ordinarie e una sulla base delle norme speciali approvate dal Campidoglio per consentire a bar e ristoranti di lavorare all’aperto. Da quel momento, però, cala il silenzio. Per anni non arriva alcun provvedimento chiaro: nessun via libera, nessun diniego motivato, nessuna richiesta di integrazioni. La pratica resta sospesa, mentre l’attività continua a usare lo spazio.

Blitz della Polizia Locale, verbali e minaccia di chiusura

La svolta arriva solo nell’ottobre 2024, quando la Polizia Locale effettua un sopralluogo a Piazza Tarquina. Il ristorante si ritrova destinatario di due verbali per occupazione senza concessione e di un ordine di ripristino dei luoghi: in sostanza, smontare tutto e riportare l’area allo stato originario. A novembre 2024 il Municipio VII rincara la dose con una diffida formale, minacciando, in caso di mancato adeguamento, persino la chiusura dell’esercizio e la decadenza del titolo abilitativo. Una risposta durissima dopo anni di totale inerzia amministrativa.

Notifiche al tecnico, niente soccorso istruttorio: dove ha sbagliato il Comune

Davanti al TAR, però, emerge un dettaglio decisivo: le comunicazioni di “archiviazione” delle istanze non erano mai arrivate direttamente alla società, ma solo al tecnico che aveva curato la presentazione della domanda, presso il quale la G. L. non aveva eletto domicilio. Per i giudici, quella notifica non è valida. E c’è di più: se il problema era solo la modalità di presentazione (PEC anziché portale telematico), Roma Capitale avrebbe dovuto attivare il soccorso istruttorio, cioè aiutare il richiedente a regolarizzare la pratica, non trattare il tutto come un rigetto definitivo.

Provvedimenti annullati e messaggio agli esercenti e ai cittadini

Il TAR ha dichiarato fondato il ricorso, annullando i provvedimenti di diniego di fatto e, a cascata, l’ordine di ripristino dei luoghi e gli atti repressivi collegati. Roma è stata anche condannata a pagare 3.500 euro di spese processuali. La sentenza non “promuove” qualsiasi dehors, ma manda un segnale chiaro: la Pubblica Amministrazione non può ignorare per anni le istanze su spazi pubblici e poi intervenire solo con multe e minacce di chiusura. In una città dove ogni metro di marciapiede è conteso, trasparenza e correttezza procedurale non sono un lusso, ma un interesse pubblico essenziale.