Roma, il bar pubblico del Gianicolo ‘ostaggio’ dei rinvii, il Tribunale bacchetta il Campidoglio: “Basta alibi, si decida!”
Il Gianicolo è lo specchio di Roma: magnifico, potentissimo, eppure gestito con una ‘leggerezza’ amministrativa che lascia senza fiato. Una ordinanza del TAR del Lazio fotografa una realtà che i cittadini conoscono fin troppo bene: un Campidoglio che, negli ultimi due anni, ha preferito rinviare, tacere, rimandare e ‘scaricare’ responsabilità anziché assumersi l’onere di decidere. E lo fa a proposito di un chiosco-bar che sorge su area pubblica con tanto di vincolo che deve essere ricostruito secondo le leggi e i regolamenti in vigore, ma che è diventato il simbolo dell’immobilismo dell’amministrazione. Il ricorso è stata presentato dal gestore del chiosco, il signor D.M., due anni fa. Visto che non riusciva a sbrogliare la matassa burocratica, nonostante 4 tra sentenze e ordinanze precedenti tutte pubblicate tra il 2023 e il 2024.
Quando il Comune di Roma “non decide”: una condotta sistemica
Il TAR, con quest’ultima ordinanza, la quinta in soli due anni, non maschera a questo punto – forse – ‘l’irritazione giuridica’. Scrive, nero su bianco, in sostanza, che in una procedura complessa è l’amministrazione che deve guidare il privato. Eppure, a Roma, succede il contrario. Il progetto di ricostruzione del chiosco bar su area pubblica che continua a rimbalzare, i pareri che si contraddicono, le conferenze di servizi che producono solo altra confusione. E alla fine, nessuno ha il coraggio di dire cosa si può costruire, con quali caratteristiche, secondo quali norme al Gianicolo, su un’area pubblica, per un chiosco bar pubblico, quindi dei cittadini.
Il giudice lo chiama per nome: “Violazione del principio di buona amministrazione – così si legge tra le carte giudiziarie – e di leale collaborazione”. E il punto politico è ineludibile: tutto questo accade sotto la guida del sindaco Roberto Gualtieri e dell’assessore alle Attività Produttive Monica Lucarelli, responsabili dell’indirizzo politico che avrebbe dovuto garantire chiarezza, coordinamento e tempi certi. Invece, il caos. Al Gianicolo.
“Errori dal ’92”: il Campidoglio riscrive la storia per non assumersi responsabilità
Il passaggio più emblematico è questo: negli ultimi due anni, il Comune ha iniziato a sostenere che tutta la vicenda risalirebbe a un “errore del 1992” nella qualificazione dell’attività e nell’accatastamento del chiosco. Insomma: dopo decenni, ci si accorge che la documentazione non sarebbe corretta. Una narrazione politico-amministrativa conveniente quando si vuole congelare tutto e non decidere niente. Il TAR taglia corto: “Se c’è un errore, lo si corregge con atti ufficiali, non con dichiarazioni estemporanee. Fino a quel momento valgono gli atti attuali”. Tradotto in linguaggio politico: il Campidoglio non può usare il passato come scudo per mascherare l’incapacità amministrativa del presente. Ed è una tirata d’orecchie che pesa, e che chiama direttamente in causa il livello politico, che negli ultimi due anni ha alimentato – o quantomeno tollerato – questo approccio.
Il vincolo monumentale come ‘arma di interdizione’
Altro capolavoro della burocrazia capitolina: un giorno il chiosco è ampliabile, il giorno dopo no, perché “c’è il vincolo”. Ma quale vincolo? Dove? Con che limite? Risposte: zero. Il TAR, stanco di “no” generici non supportati da verifiche, autorizza il Commissario ad acta (ossia il Prefetto di Roma) – nominato proprio perché il Comune di Roma non ha dato esecuzione alle sentenze-ordinanze precedenti – a incaricare un tecnico indipendente.
Questo significa che sul Gianicolo la tutela del patrimonio non è stata gestita con rigore: è stata usata come tappo, come freno generico, come scusa pronta all’uso per non assumere una posizione chiara. E anche questo è un fatto politico: la gestione dei vincoli è responsabilità diretta dell’esecutivo cittadino, che avrebbe dovuto garantire trasparenza e istruttorie serie. È mancato tutto.
Il Commissario fa ciò che il Campidoglio non fa
La nomina del Commissario è già di per sé un’ammissione implicita: il Campidoglio non è stato in grado di eseguire una sentenza. Ora il TAR dà pieni poteri operativi, al Prefetto, anzi lo esorta: è necessario – gli scrive in parole povere – applicare gli atti vigenti; ignorare i ripensamenti tardivi del Comune di Roma; coordinarsi coi tecnici per definire un progetto concreto; rilasciare i titoli necessari.
È una sostituzione di fatto della politica da parte della giurisdizione. Il giudice non lo dice apertamente, ma il messaggio è inequivocabile: quando l’amministrazione non è in grado di funzionare, qualcun altro dovrà farlo al suo posto.
Gianicolo: specchio di un metodo di governo
L’ordinanza – la quinta in soli due anni – non riguarda solo un chiosco. Riguarda un modo di governare. Due anni di rinvii, atti annullati, contraddizioni e silenzi amministrativi non sono un incidente: sono un metodo. Un metodo che appartiene all’attuale ciclo politico capitolino, guidato da Gualtieri e con la gestione delle attività produttive affidata a Lucarelli. Il TAR, implicitamente, dice: non potete continuare così.
Se un’amministrazione non sa dire cosa si può fare sul Gianicolo – il Gianicolo! – come può pretendere di gestire i grandi dossier della città? E mentre la politica rinvia, Roma perde tempo, servizi, decoro e credibilità. Dopo questa ordinanza, la quinta in due anni, il chiosco, forse, si rifarà. Ma il vero nodo rimane: per quanto tempo ancora Roma dovrà dipendere dai giudici amministrativi per ottenere ciò che dovrebbe garantire il Campidoglio e l’Amministrazione comunale?
