“Roma, il chiosco-alimentari al Gianicolo è abusivo”, ma il Tribunale smentisce il Campidoglio: “Prove infondate”
Roma, il Tribunale Amministrativo del Lazio ha annullato quest’oggi 5 dicembre l’ordine di demolizione che il Municipio I aveva emesso contro un famoso chiosco alimentare a Piazzale Garibaldi, L.T, al Gianicolo. Secondo i giudici, l’amministrazione comunale di Roma non ha spiegato, in maniera convincente e dettagliata, come avrebbe accertato l’esistenza di una “seconda struttura” aggiunta al chiosco originale e quindi abusiva. In altre parole, l’ordine di Roma di abbattimento decade perché l’istruttoria risulta carente. Già le scorse settimane, i giudici avevano bacchettato in modo deciso il Campidoglio per le vicende relative a un altro chiosco situato poco distante da quello alimentari in questione, sempre al Gianicolo (per leggere l’articolo, clicca qui).
Un belvedere simbolo di Roma, una contestazione pesante che… ‘evapora’
Siamo in uno dei luoghi più noti di Roma, dove ogni giorno passano turisti, famiglie e cittadini. Proprio qui un chiosco alimentari è finito al centro di una contestazione edilizia che, per chi lo gestisce e ci lavora, non è un dettaglio. L’accusa è chiara: oltre al chiosco originario sarebbe stata aggiunta una seconda struttura metallica accessoria, realizzata dopo la priva e del tutta priva di titolo edilizio. Da questa contestazione nasce una sequenza di atti durata tre anni che è culminata nella richiesta di demolizione e “ripristino dello stato dei luoghi” che ha avuto luogo tra il 2022 e il 2023.
Perché Roma perde: non basta dire “è abusivo”, bisogna provarlo
Il punto centrale della vicenda è uno: per arrivare a una demolizione non basta un’affermazione generica. Serve una ricostruzione precisa, documentata, leggibile: rilievi, misure, confronto con lo stato precedente, motivazioni solide. Nel caso, il titolare ha portato elementi che puntavano a dimostrare che il manufatto fosse sostanzialmente invariato nel tempo, come aerofotogrammetrie (foto aeree) e una perizia, oltre a materiale storico che rafforzava l’idea di un chiosco simile già presente decenni fa.
Davanti a questo quadro, il Tribunale rileva che l’amministrazione non chiarisce in modo esauriente come avrebbe accertato l’aggiunta della “seconda struttura” e la sua realizzazione in epoca successiva. E senza quel passaggio, l’atto non regge.
Le domande che restano (e che interessano tutti)
Questa storia non riguarda solo un chiosco. Riguarda il modo in cui si governa lo spazio pubblico e si fanno rispettare le regole. Se l’obiettivo è legalità e decoro, servono controlli e decisioni ferme, ma anche atti costruiti bene, con prove e motivazioni solide. Altrimenti il rischio è duplice: colpire attività economiche con anni di lavoro alle spalle e, allo stesso tempo, intasare uffici e tribunali con contenziosi evitabili.
E allora le domande, oggi, sono quasi obbligate: quali rilievi e quali misurazioni hanno portato a parlare di “seconda struttura”? Perché una contestazione del genere emerge dopo anni? Quanti casi simili finiscono male non per assenza di regole, ma per istruttorie deboli? E soprattutto: quanto costa alla città di Roma e ai romani — in soldi pubblici, tempo amministrativo, energia giudiziaria — prendere decisioni invasive senza una base tecnica capace di reggere fino in fondo?