Roma, il Parco degli Acquedotti affoga nell’erba alta: biodiversità o abbandono?

Il Parco degli Acquedotti, uno dei polmoni verdi più amati dai romani, si è trasformato in una sorta di safari urbano per chi ha deciso di passarci il Primo Maggio. Teli stesi sull’erba, grigliate fai-da-te e bambini in fuga da api e zecche: il tutto incorniciato da una vegetazione alta quasi un metro. Altro che atmosfera bucolica, la sensazione è quella di una giungla lasciata a sé stessa.

Eppure, secondo Francesco Laddaga, presidente del Municipio VII, non si tratta di incuria ma di una scelta ecologica consapevole. In un video pubblicato il 30 aprile 2025, spiega che il mancato sfalcio primaverile sarebbe un atto d’amore verso il verde. “Abbiamo scelto di non sfalciare tutto a inizio primavera — afferma — per favorire impollinatori e biodiversità”. Una motivazione ambientalista in teoria ineccepibile: meno sfalcio significa meno emissioni, più rifugi per insetti e piccoli mammiferi, più fiori per le api. Ma in pratica?

Il Parco degli Acquedotti in mezzo all’erba alta: dove finisce la biodiversità e inizia il disinteresse?
Sì, l’erba alta può aiutare la fauna. Ma deve proprio crescere fino a invadere i camminamenti, sommergere le aree picnic e assediare il laghetto? Lontano dall’immagine da cartolina che ci si aspetterebbe da un’area verde storica, il parco oggi appare trascurato, disordinato e difficilmente fruibile. La differenza tra tutela ambientale e trascuratezza, a volte, è solo questione di centimetri d’erba. In alcune zone, difatti, la vegetazione supera chiaramente il metro e mezzo, come documentano le immagini scattate ieri, 1° maggio.

Le famiglie che il Primo Maggio hanno cercato relax tra gli acquedotti millenari, si sono ritrovate invece a fare lo slalom tra malva selvatica, ortiche e cardi. Altro che “spazio condiviso”: i vialetti sono stati divorati dalle piante infestanti, le stradine si sono trasformate in corridoi vegetali dove ogni passo è un rischio per allergici e famiglie in cerca di relax.

Una cittadina ha raccontato su Facebook cosa ha visto nella zona del laghetto: “Purtroppo, alcuni bambini — senza la minima sorveglianza — infastidivano pesantemente tartarughe e pesci, con retini e bastoni. Ho dovuto intervenire io stessa per fermarli. I bambini non hanno colpa, ma è assurdo che in un’area così importante dal punto di vista faunistico non ci fosse alcun controllo.”

Una strategia verde che sembra più una giustificazione tardiva
D’accordo, l’idea di alternare sfalcio e spontaneità naturale è legittima Ma se questa fosse davvero una strategia ambientale, dove sono i cartelli che la spiegano? Dove sono le zone didattiche, i percorsi guidati, le aree protette? Tutto lascia pensare a un’operazione estemporanea e improvvisata, un intervento emergenziale, forse legato a risorse ridotte, presentato a posteriori come “scelta ecologica”.

Se ben pianificata, potrebbe avere senso. Ma così com’è stata realizzata, senza progettazione né comunicazione, risulta difficile da difendere.

Se davvero si volesse investire sulla biodiversità, forse bisognerebbe potenziare il Giardino delle Farfalle, l’unico spazio pensato per ospitare insetti impollinatori e microfauna. Ma è piccolo, isolato, fin troppo spesso vandalizzato: un simbolo, sì, ma della sua marginalità nel progetto complessivo: una mancata volontà di fare davvero ecologia urbana.

Biodiversità o greenwashing?
Nel suo video, Laddaga sottolinea come alcune zone siano state sfalciate proprio per ospitare le famiglie. Ma a giudicare dalle immagini del 1° maggio, le famiglie si sono arrangiate come potevano, in mezzo ai cespugli. Lo sfalcio selettivo pare più una toppa che un progetto. E la comunicazione istituzionale, più una pezza retorica che un piano credibile.

Il Parco degli Acquedotti è un patrimonio naturale e storico, e nessuno chiede che venga trasformato in un giardino all’inglese. Ma c’è una differenza tra prato spontaneo e degrado, tra scelta ecologica e assenza di gestione.

Qui si rischia di confondere il “non intervenire” con il “proteggere la natura”. Serve progettazione, manutenzione e trasparenza. Perché la natura urbana, per funzionare, va progettata. Non lasciata al caso. C’è bisogno di regole, non di slogan. E soprattutto, c’è bisogno di rispetto per chi il parco lo vive ogni giorno — zanzare escluse.
