Roma, la cultura traballa: il Tribunale ‘riapre’ il maxi bando varato dalla Giunta Gualtieri

Roma, sullo sfondo il logo del bando capitolino, in primo piano il sindaco Gualtieri e l'assessore alla Cultura Smeriglio

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Non c’è pace (politicamente parlando) per l’assessorato alla Cultura del comune di Roma, guidato dal ‘Verde’ Massimiliano Smeriglio, già additato per aver concesso in via straordinaria 150mila euro di fondi pubblici a soggetti privati in almeno due recenti occasioni. Il Tribunale Amministrativo del Lazio ha emesso un’ordinanza destinata a creare più di un’onda lunga nel mondo culturale di Roma. Al centro della vicenda c’è il maxi-bando pubblico lanciato la scorsa estate denominato “Roma Creativa 365. Cultura tutto l’anno”. Un programma con cui, l’amministrazione Gualtieri, aveva annunciato una distribuzione capillare di eventi e iniziative su 12 mesi, promettendo una “Roma viva, inclusiva e partecipata”, così spiegava la campagna pubblicitaria del colosso capitolino Zetema Progetto Cultura, guidato dal presidente-Amministratore Unico Simone SIlvi. Un colosso del settore culturale attivo a Roma, difatti, ha ritenuto lesi i suoi interessi dalla graduatoria finale, ed ha trascinato in giudizio il Campidoglio.

Il Tribunale, per il momento, ha rilevato la necessità di chiamare in causa tutti i soggetti che risultano vincitori nel bando, perché ogni eventuale ricalcolo dei vincitori della graduatoria di luglio 2025, già rettificata più volte – ma eseguito dai giudici – potrebbe togliere risorse già assegnate e usate da altri. Una condizione che apre un fronte carico di incertezze, per la cultura romana.

La graduatoria va “riaperta” sul piano processuale e, prima del 14 gennaio 2026, non ci sarà alcuna decisione definitiva, solo allora il Tribunale si esprimerà in via definitiva. E, a seconda del risultato, la programmazione culturale di tutto l’anno programmato 2025-2026, e i relativi fondi già assegnati, potrebbero traballare.

Il nodo politico: responsabilità in Campidoglio

Il programma “Roma Creativa 365” è stato promosso dalla Giunta guidata dal sindaco di Roma e in particolare dall’assessorato alla Cultura, affidato a Massimiliano Smeriglio. L’idea era quella di sostenere iniziative diffuse, incoraggiare nuovi operatori culturali, garantire attività dai quartieri centrali fino alle periferie. Ora però la scelta amministrativa rischia di ritorcersi politicamente su chi l’ha sostenuta. Perché?

Perché il Tar non entra (almeno per ora) nel merito dei contenuti culturali, ma mette in evidenza un fatto fondamentale: le risorse pubbliche sono limitate e tutte già assegnate, come dichiarato dal Comune in Tribunale. Se anche solo una proposta esclusa venisse riammessa, si dovrebbe rivedere tutto, togliendo finanziamenti a chi risultava già vincitore. Una prospettiva che significa una cosa sola: inciampo politico. Se la macchina amministrativa non regge la complessità della procedura, la responsabilità ricadrebbe prima sul Sindaco e poi sull’Assessore.

Il Comune chiede la notificazione per pubblici proclami

In giudizio, il Comune di Roma ha chiesto che la ricorrente notifichi la causa non con invii individuali, ma tramite pubblici proclami, cioè pubblicando un avviso ufficiale sul sito del Comune. È un passaggio previsto dalla legge quando i soggetti potenzialmente coinvolti sono molti. È un segnale significativo.
Il Comune, di fatto, riconosce l’elevato numero di operatori che potrebbero essere toccati da una revisione della graduatoria. E riconosce implicitamente che l’eventuale riammissione del progetto escluso non sarebbe un dettaglio marginale, ma un intervento in grado di rimescolare l’intera distribuzione dei fondi.

Una nuova camera di consiglio nel 2026: l’anno culturale è già in ritardo

Il Tar ha fissato una nuova udienza il 14 gennaio 2026. Questo significa che fino a quella data non ci sarà alcuna certezza definitiva. E poiché gli eventi culturali vanno programmati con mesi di anticipo, la città rischia un effetto domino: calendari rinviati, partner in stand-by, location incerte, comunicazioni sospese?
Chi lavora nella cultura lo sa bene: non si improvvisa. Una rassegna estiva, una stagione teatrale, un festival di quartiere si costruiscono dialogando con sponsor, fornitori, tecnici, artisti. Senza garanzie, la macchina si ferma. La domanda, a questo punto, è inevitabile: Roma si può permettere un anno culturale monco?

Una questione di fiducia istituzionale

Oltre alle ricadute economiche e organizzative, questa vicenda tocca un nervo profondo: la fiducia nelle procedure pubbliche. Se i bandi diventano terreno di incertezza, chi vorrà investire energie, tempo e risorse in progettazione culturale a Roma? La città ha bisogno di stabilità, trasparenza e credibilità.
La cultura non è solo un programma di eventi: è economia, lavoro, presidio sociale, identità urbana.

L’ordinanza del Tar non blocca il programma, ma lo mette sotto ‘condizione giuridica’. E quando una città basa il proprio rilancio culturale su un piano sotto condizione, significa che qualcosa non ha funzionato.
Ora la palla torna in Campidoglio. Sarà la Giunta a dover dimostrare in Tribunale, con atti chiari e tempi certi, che la cultura a Roma non è solo slogan, ma governance, responsabilità e capacità amministrativa. E soprattutto che, nella preparazione delle graduatorie, non vi sono stati ‘amichettismi’ di alcun tipo, in modo particolare di carattere politico. Perché ciò che traballa non è un singolo progetto. È l’intera programmazione culturale fino all’estate 2026 (inclusa).