Roma, la Fontana delle Brume spunta nel laghetto del Parco degli Acquedotti
È arrivata davvero: la nuova Fontana delle Brume di Paolo Assenza è stata installata nel laghetto di Roma Vecchia, nel cuore del Parco degli Acquedotti, e sta già scatenando discussioni. Tutto perché l’opera, un sottile tripode metallico che sembra piantato nell’acqua come un emissario alieno, funziona senza un solo litro di acqua corrente: vive di condensazione dell’umidità dell’aria, un sistema che la rende tanto poetica quanto spiazzante.
Dietro questa scultura contemporanea non c’è improvvisazione: si tratta di un progetto ufficiale di Roma Capitale Assessorato alla Cultura, inserito in Artes et Iubilaeum 2025 e finanziato con fondi Next Generation EU PNRR Caput Mundi. Insomma, un intervento istituzionale che porta un’opera sperimentale dentro uno dei paesaggi più iconici della città.
Un oggetto sospeso che dialoga (o stona?) con il paesaggio
Nella foto si vede tutto molto chiaramente: la struttura, slanciata e minimalista, affonda le sue tre gambe nell’acqua bassa, mentre alle spalle si aprono alberi nodosi, canneti e il profilo degli acquedotti romani. La superficie del laghetto riflette tutto, trasformando l’installazione in una specie di periscopio futurista in mezzo alla quiete del verde.
È qui che nasce lo scontro filosofico del giorno: si integra davvero nel Parco degli Acquedotti o è un contrasto troppo evidente? C’è chi la considera una presenza delicata, quasi un commento visivo sul paesaggio. E c’è chi, invece, la vede come una forzatura contemporanea messa in mezzo a un luogo che vive di storia, pietra e silenzi.
La certezza, però, è una: fa discutere. E quando un’opera divide, di solito funziona.
Visibile fino al 9 dicembre 2025
Quel che è certo, al di là delle opinioni, è che la Fontana delle Brume dà il meglio di sé al calare del sole. L’umidità serale, le luci soffuse del parco e il riflesso dell’acqua creano un effetto quasi scenografico. Un piccolo invito a fermarsi, osservare, lasciarsi sorprendere o infastidire. Ma comunque a reagire.
Perché l’arte pubblica, a Roma, dovrebbe fare esattamente questo: costringere a guardare.