Roma, la Regione non dà l’assistenza necessaria, lei è costretta a lasciare il lavoro per la figlia disabile gravissima: “Caregiver abbandonati: senza tutele, senza pensione, senza futuro”

“Mestiere” caregiver: sperare che tuo figlio disabile viva almeno quanto te, per non morire di fame. È il paradosso di chi è costretto a lasciare il lavoro per poter prendersi cura dei propri cari, perché lo Stato, o la Regione, non lo fa. Perché l’assistenza domiciliare, soprattutto in certi posti, come la Regione Lazio, è carente.
“A 24 anni ho lasciato il lavoro per poter assistere mia figlia, massacrata da chi avrebbe dovuto curarla”. A parlare è Rita Basso, mamma di Amina, la ‘ragazza’ (ormai ha 42 anni) di Acilia ridotta a letto senza potersi muovere, impossibilita a mangiare se non con un sondino a causa di una diagnosi medica errata e di conseguenti errate cure quando era solo una bambina.

Una bambina sana. Con una famiglia felice, che nel corso degli anni ha visto distruggere il proprio equilibrio. Perché Amina ha perso tutte le sue facoltà fisiche e l’uso della parola, mentre la mamma ha perso il lavoro e la sua socialità, non avendo più il tempo di dedicarsi agli spazi personali. E il futuro si prospetta nero.
La sua non è una storia unica. Come lei ci sono migliaia di persone. Che per dedicarsi “full time” a un familiare, spesso un figlio, per sopperire alle carenze istituzionali, si ritrovano senza contributi. E quindi, un domani, senza una pensione decente, ma solo quella sociale. Che, si riceve l’importo intero, ammonta a 538,69 euro. Meno di quanto costa una stanza in affitto a Roma.
Caregiver, un “lavoro” che non viene riconosciuto
Dietro la parola caregiver si nasconde un ruolo che è molto più di un compito familiare: è un lavoro a tempo pieno, senza ferie né stipendio, che logora corpo e mente. In Italia sono oltre 7 milioni le persone che si prendono cura di un familiare non autosufficiente. Nel Lazio le famiglie denunciano da anni la scarsità dei servizi di assistenza domiciliare, costringendo madri, padri, fratelli e sorelle a rinunciare al lavoro.
Eppure, nonostante i numeri, la figura del caregiver resta quella di un fantasma. Non ha tutele, non ha un inquadramento professionale, non ha diritti previdenziali: significa che chi dedica la vita al proprio caro rischia di ritrovarsi anziano e povero, senza nemmeno i contributi per una pensione dignitosa.
Lo sfogo di Rita: “La pensione sociale è la mia condanna”
“Oggi – prosegue nel suo sfogo Rita – a 62 anni, ancora svolgo l’attività fantasma del caregiver. Un lavoro vero e proprio, 24 ore su 24, ma senza una retribuzione e senza una pensione riconosciute. Tra pochi anni avrò la pensione sociale. La pensione sociale! Per sopravvivere devo sperare che mia figlia campi più di me, ma ho l’angoscia nel domandarmi che fine farà dopo che io non ci sarò più, nonostante abbia una sentenza che le garantisce l’assistenza domiciliare infermieristica. Se invece sarà lei ad andarsene prima di me, oltre al dolore che proverò, dovrò pensare a come sostenere le spese per vivere”.
“Questa è comunque la condizione di tutti i caregiver che assistono situazioni gravissime. Non c’è politico, non c’è associazione, non c’è tavolo tecnico che si stia occupando di noi caregiver. Almeno le avessero dato l’assistenza che le spetta, avrei potuto lavorare!”, conclude disperata.
Regione Lazio sorda, Stato indifferente
Rita si è rivolta innumerevoli volte alla Regione Lazio per avere l’assistenza che spetta ad Amina, forte della sentenza dei giudici. Ma si è scontrata con muri di gomma. Stessa cosa con gli appelli fatti al Presidente della Repubblica e ai vari Ministri. Le belle parole, del resto, vanno bene per gli spot sui social. Nella pratica, poi, è tutta un’altra cosa.
E se Rita urla il suo sfogo, quanti caregiver fantasma restano in silenzio, condividendo lo stesso destino, mentre politici hanno la prospettiva di pensioni e vitalizi d’oro?
La questione dei caregiver non è solo un problema individuale, ma un tema di giustizia sociale: senza una riforma che riconosca questo ruolo, l’Italia continuerà a scaricare il peso delle proprie carenze sanitarie sulle spalle di chi, già piegato dal dolore, si ritrova anche abbandonato dalle istituzioni.