Roma, le tende del Giubileo restano: l’emergenza senzatetto diventa “sistema” (ma chi paga?)
Roma, quattro tensostrutture, ossia tende, in punti strategici e delicati della città: Porta San Lorenzo, Ostiense, Tiburtina e via delle Fornaci. Totale: 250 posti letto stimati. In un anno, grazie al turnover, le persone accolte sono state 410. Dati che fotografano un pezzo di realtà romana, ma che aprono anche un dubbio: se l’accoglienza in tenda diventa permanente, l’emergenza non si sta trasformando in un modello “standard”, senza che nessuno lo dica chiaramente?
Da misura temporanea a scelta politica strutturale
All’inizio era una risposta legata al Giubileo: un intervento “straordinario”, pensato per tamponare la strada e alleggerire le criticità più visibili, con il conto pagato grazie ai fondi giubilari. Oggi però la linea del Campidoglio è diversa, secondo quanto avrebbe dichiarato il primo cittadino alla stampa nazionale: “Le strutture – ha preannunciato Gualtieri – non verranno rimosse a fine Anno Santo. È qui che la notizia cambia volto: non è più solo accoglienza, ma una decisione politica che rischia di normalizzare la precarietà. Perché una città che stabilizza le tende, di fatto, sta dicendo che la condizione provvisoria può diventare la cornice permanente.
Il nodo vero: con quali fondi si finanzia la “stabilizzazione”?
Il punto che resta sul tavolo, e che pesa più di ogni slogan, è uno: quanto costa tenere aperti centri H24, con operatori, servizi, manutenzione e gestione quotidiana? E soprattutto: con quali fondi verrà finanziata nel tempo questa stabilizzazione del circuito? Perché una cosa è attivare strutture in una fase eccezionale, coi fondi giubilari; un’altra è renderle permanenti senza un quadro trasparente, leggibile, comprensibile anche a chi non mastica bilanci. Se la città sceglie di proseguire, deve spiegare da dove arrivano i soldi e per quanto è sostenibile.
Più servizi, certo. Ma perché restare “in tenda”?
Le tensostrutture non offrono solo un letto: ci sono docce, pasti, orientamento e supporto sociale. Si parla di percorsi sanitari, assistenza, tentativi di reinserimento lavorativo. Tutto utile. Ma proprio perché i servizi crescono, la domanda diventa inevitabile: perché continuare a chiamare “accoglienza” un modello che resta legato alla tenda? Se davvero l’obiettivo è accompagnare fuori dalla strada, non sarebbe più logico un ciclo più stabile, istituzionalizzato, fatto di strutture vere, diffuse e integrate, invece di un sistema che rischia di cronicizzare l’emergenza dentro una forma provvisoria?
Le domande scomode a Gualtieri e Funari
Se le tensostrutture restano, qual è il piano per superarle? Quali tempi vi date per trasformare questa risposta provvisoria in soluzioni stabili, e con quali criteri misurerete quante persone escono davvero dal bisogno, invece di ruotare in un circuito che contiene ma non risolve? E ancora: quali capitoli di spesa garantiranno continuità quando finirà la spinta del “progetto giubilare”?
I nuovi progetti annunciati, tra Stazioni di posta e Housing First, copriranno davvero il fabbisogno o rischiano di diventare un’altra rete parallela, mentre le tende restano lo standard? Perché la domanda finale è semplice e brutale: Roma sta curando il problema — o sta solo rendendolo permanente, con una gestione più ordinata?