Roma, leucemia dopo aver incenerito dossier riservati del Governo, la sentenza : “Malattia professionale”

Roma, la sede del Consiglio di Stato

Contenuti dell'articolo

Roma, per oltre due decenni ha lavorato in un tunnel sotterraneo senza finestre, privo di aerazione e di ogni misura di sicurezza. In quell’ambiente malsano e chiuso, trasformato in un inceneritore improvvisato, smaltiva i dossier riservati dei servizi segreti italiani per conto della Presidenza del Consiglio, ossia del Governo Italiano. Oggi, quella lunga esposizione a fumi tossici gli è costata la salute. Ma dopo anni di silenzio e una battaglia legale durata oltre un decennio, è arrivata una sentenza destinata a fare scuola: la sua leucemia è una malattia professionale. Lo ha stabilito il Consiglio di Stato, secondo e ultimo grado della giustizia Amministrativa, ribaltando una prima decisione del Tar del Lazio.

Una storia di invisibilità

Il dipendente era stato assunto da Palazzo Chigi nel 1992 con la qualifica di falegname, ma negli anni si è ritrovato a gestire un compito ben diverso. Bruciare documenti riservati e classificati all’interno di una struttura che i magistrati oggi definiscono “totalmente inadeguata dal punto di vista della sicurezza”.

Si trattava di un’ex cisterna del ’700, trasformata in locale di combustione, situata nei sotterranei di un edificio periferico legato alla Presidenza del Consiglio. Nessuna finestra, nessun sistema di aspirazione, nessuna tutela. Solo amianto, polveri, vernici, colle, solventi. E fumi tossici inalati ogni giorno, per anni.

La diagnosi e la negazione

Nel 2012, a vent’anni dall’inizio del servizio, è arrivata la diagnosi: leucemia a cellule capellute, una forma rara e aggressiva. Da quel momento, il dipendente è stato allontanato dall’incarico e destinato a mansioni amministrative.

Ma la Presidenza del Consiglio ha negato ogni legame tra l’attività svolta e la malattia, difendendosi in giudizio e ottenendo inizialmente una sentenza favorevole davanti al Tar. Tuttavia, il ricorso dei legali del lavoratore ha portato la vicenda davanti al Consiglio di Stato, che ha ribaltato tutto.

La svolta in Consiglio di Stato

Nella sentenza definitiva, i giudici hanno rilevato “gravi carenze istruttorie” e una “inadeguata valutazione scientifica dell’esposizione alle sostanze tossiche”, riconoscendo che l’insorgere della leucemia è direttamente collegato all’ambiente di lavoro.

Una decisione che, oltre a restituire giustizia al diretto interessato, apre ora la strada a un possibile effetto domino: altri lavoratori pubblici impiegati in ambienti ad alto rischio potrebbero avviare ricorsi analoghi. Il precedente c’è, e pesa.

Sorveglianza costante e futuro incerto

Dal 2013, l’uomo è sotto sorveglianza sanitaria continua. Ogni sei mesi deve sottoporsi a controlli clinici per monitorare l’evoluzione della malattia. La sua vita è cambiata per sempre.

E mentre la sentenza riconosce per la prima volta il ruolo nocivo dell’ambiente lavorativo, resta ancora in discussione il riconoscimento della causa di servizio e l’eventuale risarcimento per i danni subiti.

L’appello alla politica

Sul caso sono intervenuti anche i consiglieri capitolini della Lista Civica Calenda. In una nota ufficiale, si chiede alla Presidenza del Consiglio di “riconoscere pienamente i diritti del lavoratore, assegnandogli lo status di vittima del dovere e procedendo con il dovuto risarcimento”.

La vicenda, aggiungono, “dimostra quanto sia urgente rafforzare i controlli sugli ambienti di lavoro nella pubblica amministrazione, a partire da quelli più nascosti e dimenticati”.