Roma, l’Inceneritore di Gualtieri realizzato con 40 milioni dei cittadini per gli impianti ancillari: esposto alla Corte dei Conti


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Il dibattito sull’inceneritore di Roma che dovrebbe sorgere in località Santa Palomba, tra il IX Municipio capitolino e i comuni di Albano Laziale, Pomezia e Ardea, si infiamma con nuove, pesanti accuse. Un esposto presentato alla Corte dei Conti da un gruppo di esponenti politici lo scorso 14 agosto mette in discussione l’intero progetto, caldeggiato dal sindaco PD Roberto Gualtieri, sollevando dubbi sulla sua sostenibilità economica e sulla reale efficacia delle tecnologie promesse. I firmatari, l’ex sindaca Virginia Raggi, la consigliera del Municipio IX Carla Canale, l’europarlamentare Dario Tamburrano e l’ex deputato Marco Bella, denunciano una serie di criticità che, a loro avviso, renderanno il progetto un fardello per le casse capitoline e per l’ambiente.

Investimenti pubblici sotto la lente: 40 milioni dei cittadini per impianti ancillari

Il cuore del problema, secondo i ricorrenti, risiede nell’enorme investimento di denaro pubblico. Il progetto, affidato a un raggruppamento di imprese guidato da Acea, la municipalizzata dell’acqua di Roma, ha un valore complessivo di oltre 7 miliardi di euro. Di questa cifra, ben 40 milioni di euro sono un contributo diretto di Roma Capitale, destinato alla costruzione degli “impianti (cosiddetti, ndr) ancillari”. Questi impianti industriali, presentati come la soluzione per mitigare l’impatto ambientale, sono proprio l’oggetto della contesa.

I firmatari ritengono che l’investimento sia completamente sproporzionato rispetto ai benefici attesi. In particolare, il sistema di “Carbon Capture and Storage” (CCS), pensato per catturare la CO2, si rivelerebbe non solo inefficace, ma anche economicamente insostenibile, con costi operativi, di ammortamento e di personale che si sommano all’investimento iniziale.

La tecnologia “sperimentale” che non convince

Un punto cruciale dell’esposto riguarda la definizione dell’impianto CCS come “sperimentale”. Un’etichetta che, secondo i ricorrenti, non corrisponde alla realtà. I documenti citano uno studio del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) che dimostra come questa tecnologia sia già esistente e ampiamente testata, ma con risultati spesso deludenti. Molti progetti simili nel mondo sono falliti a causa di costi proibitivi e inefficienze. Sul punto e’ intervenuta anche la Corte dei Conti Europea.

L’uso di questa tecnologia non sarebbe solo economicamente svantaggioso, ma anche potenzialmente rischioso. L’iniezione di CO2 liquida nel sottosuolo, come previsto per il giacimento Eni al largo di Ravenna, solleva preoccupazioni sulla stabilità geologica, specialmente in un’area sismica. L’esposto evoca il pericolo di una “sismicità indotta” causata da questa operazione, un rischio che, seppur remoto, non può essere ignorato.

Cattura di CO2: una promessa disattesa

Le promesse fatte sul fronte ambientale sembrano scontrarsi con i dati tecnici. Le dichiarazioni iniziali parlavano di un abbattimento delle emissioni di CO2 superiore al 90%. Tuttavia, i documenti allegati al progetto svelano una verità ben diversa: l’impianto ancillare catturerebbe al massimo 400 tonnellate di CO2 all’anno.

Considerando che l’impianto di termovalorizzazione, con una capacità di trattamento di 600.000 tonnellate di rifiuti annui, ne produrrebbe circa 600.000, la quota catturata sarebbe uno 0,066% del totale. Un valore talmente esiguo da rendere inutile l’investimento, che in questo modo si tradurrebbe in un mero spreco di risorse pubbliche.

E cosa accadra’ quando entreranno in campo le sanzioni derivanti dal sistema europeo ETS ?

Il contratto di concessione e’ palesemente squilibrato a favore del concessionario ai danni del concedente ( Roma Capitale), vengono previsti infatti:
1) revisione accordi in caso di perdita o mancato rinnovo da parte del Termovalorizzatore della qualifica di impianto di chiusura del ciclo “minimo” con connessa applicazione del Metodo Tariffario
Rifiuti di ARERA (MTR) per tutta o parte della capacità del Termovalorizzatore pari a 600.000 t/a;
2) mancato conferimento annuo, da parte dei soggetti che si prevedeva conferissero nell’ambito
delle attività di programmazione settoriale, del quantitativo di rifiuti per il quale il Termovalorizzatore
ha mantenuto – per il relativo anno – la qualifica di impianto di chiusura del ciclo “minimo”, ovvero
il conferimento annuo di tale quantitativo – ovvero di un quantitativo inferiore – non avente tuttavia
un potere calorifico medio annuo coerente con la relativa assunzione indicata nel Piano Economico
Finanziario.

3) mancato conferimento del quantitativo di rifiuti necessario all’Esercizio Provvisorio ovvero il conferimento di tale quantitativo – o di un quantitativo inferiore – non avente tuttavia un potere calorifico medio coerente con la relativa assunzione indicata nel Piano Economico Finanziario;
4) maggiori oneri derivanti dalle procedure di esproprio, diversi da quelli imputabili al Conces-
sionario ai sensi dell’articolo 19, commi 4 e 5.
Non di poco rilievo, inoltre, appare l’art. 38 del contratto di concessione rubricato “Risol-
uzione per inadempimento del concedente ed AMA”. In tale ipotesi a favore del Concessio-
nario vi è la possibilità di esigere da Roma Capitale a) il valore dell’opera realizzata anche
senza il certificato di avvenuto collaudo b) le penali c) l’indennizzo pari al mancato
guadagno.

Un futuro a rischio?

L’esposto alla Corte dei Conti e la relativa spesa di 40 milioni di euro pubblici (quindi dei cittadini) si appella al principio costituzionale che impone la tutela dell’ambiente anche nell’interesse delle future generazioni. I firmatari sostengono che un investimento in una tecnologia inefficace e potenzialmente pericolosa non sia in linea con questo dovere di cautela.

La vicenda solleva un interrogativo cruciale sul modello di gestione dei rifiuti adottato da Roma. Invece di incentivare la raccolta differenziata e le pratiche di recupero, il progetto sembra puntare sull’incenerimento, mettendo a rischio il raggiungimento degli obiettivi europei e la transizione ecologica. Ora spetta alla magistratura contabile fare chiarezza e valutare se questo oneroso progetto sia davvero nel pubblico interesse.