Roma, lo storico Panamino di Villa Ada torna in funzione, ma sarà ‘privatizzato’: l’accordo con il privato resta segreto

Roma, sullo sfondo l'ingresso dell'ex Panamino, foto dell'Osservatorio Sherwood Villa Ada, in primo piano il sindaco Gualtieri e la mini sindaca Del Bello Municipio II

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Roma, il “Panamino” — lo storico chiosco-bar immerso nel verde di Parco Rabin, nel quadrante Parioli a Villa Ada — tornerà in funzione, ma sarà ‘privatizzato’, ossia gestito da un privato. La Giunta del Municipio II guidata dalla mini-sindaco Francesca Del Bello ha approvato il 3 novembre il progetto di project financing ad iniziativa privata (Kimagency srls) per riqualificare l’area confermando anche la pubblica utilità del progetto, vale a dire poche scocciature burocratiche e corsia-preferenziale per un via libera super veloce.

Il punto politico è che i dettagli dell’accordo (contenuti nell’allegato A) non risultano pubblici e quindi consultabili: il solo documento di Giunta (senza allegati) è stato pubblicato, tra l’altro, solo il 1 dicembre, con quasi un mese di ritardo e in forma lacunosa. In soldoni, i termini della proposta di accordo Campidoglio-privato (durata della convenzione, condizioni economiche, etc) sono noti solo a Municipio II e Campidoglio, guidato dal sindaco Gualtieri, ma non ai cittadini.

La “delibera fantasma”: cosa sappiamo (e cosa no)

Il provvedimento di Giunta conferma l’“interesse pubblico” e dà mandato agli uffici di proseguire (a tutta velocità) l’iter, inserendo la proposta nei documenti di programmazione e portandola a gara, con diritto di prelazione per il soggetto promotore (la Kimagency srls). Tradotto: il privato propone, il Municipio II (con la copertura politica del Campidoglio) dice ‘Sì’ senza rendere note le condizioni di base e poi corre subito verso una procedura competitiva, con prelazione.

Ma qui nascono le domande di pubblica utilità: quanto durerà la concessione? Quale sarà il canone pagato dal privato? Quali opere precise verranno realizzate? Con quali vincoli su prezzi, orari, impatto acustico, accessibilità, tutela del verde? Quali oneri, più in generale, a carico del privato? Senza questi elementi, parlare di “privatizzazione” non è uno slogan: è una preoccupazione concreta, perché un pezzo di parco pubblico può diventare, di fatto, un’area a fruizione condizionata.

Una storia lunga, piena di contenziosi e abusi

Il contesto pesa come un macigno. Il Panamino nasce dentro i “punti verde ristoro”, ma negli anni al chiosco originario si sono aggiunte strutture e ampliamenti contestati. Il tema è arrivato fino alla giustizia amministrativa, chiudendo un lungo contenzioso sull’ordine di demolizione delle parti abusive. Nel 2022 il locale è stato chiuso con i sigilli anche per una concessione scaduta e irregolarità amministrative, lasciando l’area in abbandono. Nel 2024 si è parlato di ruspe e di un “nuovo bando” dopo la demolizione della veranda abusiva.

Roma, l'ex Panamino, foto dell'Osservatorio Sherwood Villa Ada
Roma, l’ex Panamino, foto dell’Osservatorio Sherwood Villa Ada

Perché la politica spinge sul project financing (e perché serve trasparenza assoluta)

Politicamente la scelta è figlia dei tempi: risorse pubbliche azzerate e mutui a profusione, manutenzioni arretrate, parchi con gli alberi abbattuti con zero trasparenza. L’idea — sulla carta — è semplice: il privato investe per rimettere in piedi un servizio di pubblica utilità e, in cambio, ottiene un ritorno attraverso la gestione. È una scorciatoia che molte amministrazioni percorrono quando non vogliono (o non possono) mettere fondi subito.
Ma proprio perché si tratta di verde pubblico, di un immobile pubblico, quindi dei cittadini, con alle spalle le ‘macerie’ dei Punti Verde, la regola dovrebbe essere una: massima trasparenza prima, non dopo. Anche per evitare l’effetto déjà-vu: un chiosco nato come servizio, cresciuto tra contestazioni, finito sotto sigilli e tribunali, ora “riparte” con un modello che — senza carte pubbliche e leggibili — alimenta ancora più sfiducia verso l’amministrazione pubblica.

La richiesta che riguarda tutti: pubblicare i termini dell’accordo, non solo gli slogan

Il Municipio descrive un “centro vivo e dinamico” tra cultura, sport e aggregazione. Bene. Ma i cittadini devono poter valutare con dati alla mano, pubblici, non con le solite promesse da marinai dei politici. Perché Villa Ada non è un centro commerciale: è un bene comune. E se davvero il progetto è di interesse pubblico, non può restare dietro una cortina fumogena.

Roma, l'ex Panamino, foto dell'Osservatorio Sherwood Villa Ada
Roma, l’ex Panamino, foto dell’Osservatorio Sherwood Villa Ada