Roma, maxi affissioni sui palazzi, il Tribunale smonta (di nuovo) le ‘tasse’ varate dalla Giunta: “Comune restituisca parte dell’incasso”

Roma, sullo sfondo piazza dei 500 e sulla destra palazzo Massimo, in primo piano il sindaco Gualtieri e l'assessore Lucarelli, foto Google Maps

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Roma, una sentenza giudiziaria destinata a fare rumore di oggi 5 novembre rivela l’approccio forse non proprio esatto della Giunta Gualtieri nella gestione dei tributi – ossia le tasse- che il Comune ottiene da uno dei ‘business’ più lucrosi della Capitale. Parliamo delle maxi affissioni sui ponteggi dei palazzi storici in centro in corso di ristrutturazione. Il Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) del Lazio ha sferrato un colpo (l’ennesimo, che segue sentenze precedenti dell’ultimo anno) alla Giunta Gualtieri, in particolare nei confronti sindaco Gualtieri e assessore Lucarelli.

ll Tribunale Amministrativo del Lazio ha censurato in modo netto, in buona sostanza, l’operato del Comune di Roma in materia di canoni pubblicitari e diritti di istruttoria tra il 2023 e il 2025. In particolare, le censure recenti hanno riguardato le delibere con cui la Giunta Gualtieri aveva fissato le nuove e recenti tariffe del Canone Unico Patrimoniale (CUP), rilevando carenze istruttorie, violazioni di legge e oneri privi di base normativa.

Il colosso V. srl vince in Tribunale, ko per il Campidoglio

La vicenda, culminata con l’accoglimento (anche se parziale) del ricorso presentato dalla società V. s.r.l. (e appoggiato da un nutrito cartello di operatori del settore come S. P., C.. I. e decine di altri), ha svelato un meccanismo di incassi non corretto e carenze istruttorie nella determinazione degli importi fissati dl Campidoglio.

Tariffe giornaliere e principio di proporzionalità

Il contenzioso è nato nel 2023, quando il Comune ha approvato le delibere n. 421 e 436, aggiornando le tariffe per l’esposizione pubblicitaria. Il nuovo sistema prevedeva tariffe giornaliere molto elevate, che finivano per colpire in modo sproporzionato – secondo la società V. srl – chi affiggeva manifesti per periodi brevi rispetto a chi li manteneva per un intero anno.

Tra i ricorrenti spicca V. s.r.l., società specializzata in restauri di edifici storici finanziati da pubblicità temporanee. Secondo l’impresa, le nuove tariffe violavano il principio di proporzionalità e rendevano antieconomici gli interventi di recupero. Il TAR ha condiviso almeno in parte le critiche, evidenziando che Roma non aveva documentato l’impatto delle nuove tariffe né dimostrato di aver rispettato il principio di “invarianza di gettito” previsto dalla legge nazionale.

I giudici: “Assente un’istruttoria seria”

Nel motivare la propria decisione, il TAR ha osservato che le delibere comunali sono state adottate in assenza di un’istruttoria adeguata. Il Comune di Roma, secondo i giudici, non ha effettuato analisi comparative tra le entrate generate dal precedente sistema tributario e quelle derivanti dal nuovo canone. Una lacuna che impedisce, sempre secondo i giudici, di verificare il rispetto dell’obbligo di “invarianza di gettito”, introdotto dallo Stato per evitare che i Comuni aumentino le proprie entrate sotto nuove denominazioni fiscali.

Il TAR ha inoltre richiamato una precedente sentenza (n. 19124/2024) che aveva già annullato delibere analoghe, evidenziando un difetto sistemico nella gestione delle tariffe da parte del Campidoglio.

Le nuove delibere non risolvono il problema

Dopo le prime bocciature, la Giunta Gualtieri ha cercato di correggere il tiro con una nuova delibera, la n. 523 del 2024, “riconfermando” le stesse tariffe per gli anni 2021-2024 e sostenendo di aver rifatto i calcoli. Tuttavia, anche questa iniziativa è stata giudicata parzialmente carente. Perché la verifica dell’invarianza di gettito è stata condotta solo per l’anno 2021, senza estendersi ai periodi successivi.

Pur riconoscendo lo sforzo di correzione, il TAR ha sottolineato che la motivazione fornita dal Comune resta incompleta e che la validità delle tariffe potrà essere valutata solo in presenza di dati più approfonditi e trasparenti.

I “diritti di istruttoria” senza legge

Un passaggio particolarmente severo della sentenza riguarda i cosiddetti “diritti di istruttoria”. Ossia i costi che il Comune addebitava ai privati per l’esame delle domande di autorizzazione pubblicitaria.
Il TAR li ha definiti “privi di fondamento legale”, richiamando l’articolo 23 della Costituzione, secondo cui nessuna prestazione patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge.

Secondo i giudici, Roma Capitale ha introdotto un onere economico non previsto da alcuna norma nazionale, e pertanto illegittimo. Il Comune dovrà restituire le somme eventualmente riscosse a questo titolo, con possibili effetti economici significativi sul bilancio dell’ente.

I grandi operatori del settore in prima linea

Nel procedimento sono intervenuti i principali operatori del mercato pubblicitario romano, società che gestiscono maxi-affissioni e sponsorizzazioni legate ai restauri di edifici storici.
La loro partecipazione testimonia la rilevanza economica e pubblica della questione: il sistema dei canoni muove ogni anno decine di milioni di euro tra entrate comunali e investimenti privati.

Le imprese hanno lamentato un approccio poco trasparente da parte dell’amministrazione e l’assenza di un confronto tecnico preliminare, chiedendo regole chiare e sostenibili.
Con questa sentenza, il TAR riconosce in parte la fondatezza delle loro contestazioni, invitando implicitamente il Comune a una revisione complessiva del sistema tariffario.

Le conseguenze politiche e amministrative

La decisione del TAR rappresenta un duro richiamo alla trasparenza amministrativa e alla necessità di motivare in modo rigoroso gli atti che incidono sui rapporti economici tra pubblico e privato.
Per la Giunta Gualtieri si tratta di una battuta d’arresto significativa su un tema delicato come la gestione delle entrate comunali.

Il Comune dovrà ora rivedere le delibere, aggiornare le istruttorie e, probabilmente, affrontare richieste di rimborso da parte degli operatori.Una vicenda che conferma quanto sia fragile il confine tra la legittima esigenza di reperire risorse e il rispetto dei principi di legalità e proporzionalità.

Roma Capitale, scrivono i giudici, è chiamata a “ricostruire le proprie basi istruttorie” — e a farlo, questa volta, nel pieno rispetto delle regole.

Il “caso” Palazzo Massimo in Piazza dei Cinquecento

Particolarmente simbolico è il caso legato a Palazzo Massimo alle Terme, l’edificio storico che si affaccia su Piazza dei Cinquecento, nei pressi della stazione Termini. È lì che V. ha installato una maxi-affissione temporanea legata al restauro del palazzo, basandosi sul modello di sponsorizzazione che finanzia interventi culturali di pregio.
Quest’installazione è proprio una delle più strategiche e visibili di Roma: non solo per la centralità dell’area, ma anche per il valore architettonico e storico del palazzo, sede del Museo Nazionale Romano. La società V. srl la ha citata tra le sue location più prestigiose. Essendo un palazzo storico, la società avrebbe dovuto pagare il 50% dell’imposta, ma il Comune ha chiesto cifra intera, ma poi si è ravveduto dopo l’avvio del giudizio, riconoscendo l’errore davanti ai giudici.

Roma, palazzo Massimo, piazza dei Cinquecento

Roma, palazzo Massimo, con affaccio su piazza dei Cinquecento