Roma, morta dopo la liposuzione: nell’appartamento ‘spacciato’ per studio medico mancava anche il defibrillatore

Roma, sabato 7 giugno 2025, una tragedia scuote il quartiere Primavalle, nella zona di Torrevecchia. Una donna di 46 anni è morta in seguito a un intervento di liposuzione eseguito in un appartamento trasformato in ambulatorio medico senza alcuna autorizzazione sanitaria. Un luogo privo di strumenti salvavita, cartelle cliniche e dotazioni minime di sicurezza. A scoprirlo è stata la polizia, intervenuta per accertare le condizioni della struttura dopo la morte della paziente.
Un “ambulatorio” fatiscente nel cuore di Roma
Dietro una normale porta d’appartamento si celava un locale privo di ogni requisito igienico e sanitario, spacciato per studio medico. Nessun defibrillatore, nessun kit per il primo intervento, nessuna traccia di cartelle cliniche. Gli agenti hanno trovato attrezzature mediche di fortuna e un’organizzazione improvvisata, ben lontana dagli standard minimi richiesti per l’esercizio della medicina. Il luogo non era registrato come ambulatorio né era presente alcuna autorizzazione da parte delle autorità sanitarie.

Il medico già condannato e il team “fantasma”
A dirigere l’attività era José Lizarraga Picciotti, medico di 65 anni di origine peruviana, già noto alle forze dell’ordine. Nel 2013, fu condannato per lesioni colpose in relazione a un altro caso medico, un reato successivamente prescritto nel 2015. Con lui operavano anche un anestesista di 67 anni e un’infermiera, entrambi ora indagati. Tutti e tre sono finiti sotto inchiesta, e i loro telefoni cellulari sono stati sequestrati per verificare le comunicazioni intercorse nella giornata di sabato e ricostruire quanto accaduto nelle ore precedenti alla morte della donna.
Inchiesta aperta per omicidio colposo
La Procura di Roma ha avviato un’indagine per omicidio colposo ed esercizio abusivo della professione medica. I magistrati stanno valutando se sussistano ulteriori responsabilità penali legate alle condizioni in cui l’intervento è stato effettuato e all’assenza di protocolli di sicurezza. La vittima sarebbe entrata in arresto cardiaco durante o subito dopo la procedura estetica, senza che ci fosse la possibilità di alcun soccorso tempestivo. L’assenza di un defibrillatore e di personale adeguatamente formato potrebbe aver contribuito in modo decisivo al decesso.
Una morte che si poteva evitare
Il caso solleva interrogativi pesanti sul fenomeno crescente delle cliniche “fantasma” che operano nelle grandi città, spesso offrendo interventi a basso costo in strutture improvvisate e pericolose. La mancanza di controlli capillari e l’assenza di una mappatura puntuale degli studi privati facilitano la proliferazione di situazioni come quella di Torrevecchia. La tragedia di sabato è l’esempio drammatico di quanto possa essere fatale l’affidarsi a operatori fuori dal circuito sanitario ufficiale.
Controlli insufficienti e allarme sociale
L’episodio riaccende il dibattito sulla necessità di controlli più rigorosi sul territorio, in particolare nei quartieri periferici dove spesso si annidano realtà abusive difficili da individuare. Il rischio di altri casi simili è concreto, soprattutto considerando il numero crescente di cittadini che si affidano a interventi estetici low cost. La combinazione tra assenza di norme rispettate e carenza di ispezioni crea un terreno fertile per l’abusivismo sanitario.