Roma, morto a due anni al Bambino Gesù: ora cinque medici finiscono a processo

Roma, l'ingresso della Procura di Roma

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Roma, dopo sei anni di attese, archiviazioni e riaperture, il caso della morte del piccolo Giacomo Saccomanno, deceduto a soli due anni all’ospedale Bambino Gesù, arriva finalmente in aula. Cinque medici del celebre nosocomio romano dovranno rispondere di omicidio colposo. Una decisione che segna una svolta in una vicenda complessa, seguita per anni dalla famiglia del bambino, che non ha mai smesso di chiedere giustizia. Il processo, fissato per il prossimo 19 novembre, rappresenta il culmine di un percorso tortuoso, in cui la ricerca della verità si è scontrata con perizie contestate, archiviazioni giudiziarie e presunti errori sanitari.

Dalla Calabria a Roma, un viaggio della speranza

La storia di Giacomo inizia nel settembre del 2016, in Calabria, dove alla nascita gli viene diagnosticato un grave problema cardiaco. L’urgenza dell’intervento porta la famiglia a spostarsi in Sicilia, a Taormina, ma l’ospedale non dispone delle apparecchiature adatte per un neonato così fragile. Gli viene quindi impiantato un pacemaker per adulti, un gesto che, pur salvandogli momentaneamente la vita, apre una lunga serie di complicazioni cliniche.

Nella speranza di garantire al piccolo le migliori cure possibili, i genitori decidono di affidarsi al Bambino Gesù di Roma, simbolo dell’eccellenza pediatrica italiana. Ma proprio qui, secondo l’accusa, qualcosa sarebbe andato terribilmente storto.

Le accuse: “mancate cautele e ritardi fatali”

Secondo la ricostruzione della Procura, i medici dell’ospedale romano non avrebbero effettuato tutti gli esami necessari e, soprattutto, non avrebbero disposto le cosiddette “dimissioni protette” che avrebbero imposto alla famiglia di restare a Roma sotto stretta osservazione.

È il Natale del 2018 quando le condizioni di Giacomo precipitano improvvisamente mentre si trova in Calabria. La corsa disperata all’ospedale di Polistena, poi il volo militare verso Roma. Ma il piccolo, una volta arrivato al Bambino Gesù, non viene operato subito: l’intervento inizia solo il 1° gennaio 2019, “con macroscopico ritardo”, come scrive la Procura. Durante l’operazione, le cannule arteriose e venose sarebbero state posizionate in modo errato. Il bambino muore due giorni dopo, il 3 gennaio.

Il caso riaperto dopo anni di archiviazioni

Dopo la tragedia, un’inchiesta si era subito aperta ma era stata archiviata nel 2021, complice una perizia giudicata dalla famiglia “gravemente lacunosa”. Il nonno del bambino, figura tenace e instancabile, non si è mai arreso: ha raccolto documenti, chiesto consulenze, e con il supporto degli avvocati Domenico Naccari e Jacopo Macrì, è riuscito a ottenere la riapertura del fascicolo.

Una svolta che ha portato alla clamorosa indagine non solo sui cinque medici, ma anche su tre periti coinvolti nella prima archiviazione. Un evento raro, che testimonia quanto il caso abbia scosso il sistema.

“Un bambino poteva essere salvato”

“Oggi vediamo finalmente un piccolo barlume di giustizia – ha detto il nonno del piccolo –. È stato un percorso lungo, pieno di porte chiuse e di documenti falsati. Ma alla fine abbiamo ottenuto che qualcuno ascoltasse la nostra voce”. L’uomo parla con commozione, ma anche con consapevolezza: “Sappiamo che il processo potrà finire in prescrizione, ma almeno la verità è uscita dall’ombra. Mio nipote poteva essere salvato”.

Le parole del familiare risuonano come un atto d’accusa contro un sistema sanitario che, nonostante le sue eccellenze, a volte si piega sotto la pressione della burocrazia e della disattenzione.

Le difese: “Decisione incomprensibile”

Dal fronte opposto, le difese dei cinque medici parlano di un provvedimento “incomprensibile” e “ingiusto”. Secondo gli avvocati, il giudice avrebbe ignorato le richieste della Procura, che aveva proposto una nuova perizia o, in alternativa, il proscioglimento. “Le posizioni dei professionisti – ha dichiarato uno dei legali – sono state accomunate in modo sommario, senza distinzione dei ruoli effettivi. In aula dimostreremo la correttezza del loro operato”.

Un processo simbolo per la sanità italiana

Il caso Saccomanno va ben oltre la tragedia di una singola famiglia. È il simbolo di una battaglia civile per la trasparenza e la responsabilità nelle strutture sanitarie, dove ogni decisione può segnare il confine tra la vita e la morte.

Mentre i familiari si preparano a sedersi in aula come parti civili, la loro determinazione diventa un monito per tutti: che nessun bambino debba più morire per un errore evitabile, e che la giustizia – anche se lenta – possa ancora restituire dignità a chi non ha più voce.

Il primo atto del processo si aprirà il 19 novembre. E per la famiglia Saccomanno, dopo anni di battaglie, sarà finalmente il giorno in cui il silenzio dovrà lasciare spazio alla verità.