Roma, nascite in crisi nera: quest’anno 9,4% di neonati in meno rispetto al 2024

Roma, culle vuote

Contenuti dell'articolo

A Roma il segnale è già nei registri: nel 2024 i nati vivi sono stati 17.032, mentre i decessi hanno toccato 28.861. Tradotto: un saldo naturale negativo di 11.829 persone, una voragine che pesa sul futuro della città – dalle scuole ai servizi sociali. È il volto concreto dell’inverno demografico: meno bambini oggi significa meno contribuenti domani, ma anche quartieri che cambiano identità, servizi che si ridisegnano e un sistema pubblico costretto a inseguire l’emergenza.

Il -9,4% che fa rumore: i numeri del 2025

Se il titolo fa impressione, il numero resta un campanello d’allarme: nel 2025, nel Lazio, le nascite segnano un -9,4% rispetto al 2024. Non è solo una flessione: è un’accelerazione della tendenza. E Roma, per dimensione e peso sociale, assorbe e amplifica l’effetto del calo. Meno nuove nascite si traducono in meno iscrizioni agli asili, meno classi alle elementari e, a cascata, in un nuovo equilibrio urbano dove la popolazione attiva si restringe mentre cresce quella anziana.

Roma “matura”: età media oltre 46 anni e centro storico in prima linea

Non è soltanto una questione di scelte individuali, ma anche di struttura della popolazione. L’età media dei romani è attorno ai 46 anni, con un divario interno marcato: la città più anziana vive nel centro storico, dove le nascite sono più rare rispetto ai quartieri esterni. I numeri municipali raccontano una Capitale a due velocità: nel 2023, ad esempio, nel I Municipio sono nati 716 bambini contro i 1.850 del VII (Tuscolano-Appio Latino). Un’Italia in miniatura, dove la periferia regge e il cuore della città si svuota.

Coppie, figli e “tempo che scappa”: mamme a 33,2 anni

Il Lazio mostra due segnali forti. Il primo: oltre la metà dei bambini nasce da genitori non sposati, in coppie di fatto. Il secondo: l’età media delle madri supera i 33 anni (33,2), tra le più alte in Italia. La genitorialità si sposta in avanti, spesso oltre la soglia in cui biologia e condizioni economiche iniziano a presentare il conto. E quando si rimanda troppo, il rischio è doppio: meno figli per scelta e meno figli per impossibilità. È qui che la denatalità diventa anche questione di opportunità, welfare e politiche familiari.

L’effetto domino: scuole, lavoro, welfare (e un indizio nei nomi)

La denatalità non è un tema da statistiche: significa classi che si svuotano, quartieri che perdono giovani famiglie, una base lavorativa futura più stretta e un welfare che dovrà sostenere una platea sempre più ampia di anziani. Dietro il calo pesano percorsi di studio più lunghi, precarietà e accesso complicato alla casa. E perfino le classifiche dei nomi raccontano un Paese che cambia: tra i maschi continua a primeggiare Leonardo, mentre tra le femmine spicca Ginevra, scelta sempre più frequente soprattutto in area romana. Pochi nati, ma con un’Italia che prova comunque a immaginare il domani.