Roma nega al ristorante dehors vista Castel Sant’Angelo, il Tribunale commissaria il Campidoglio: traballa il ‘Piano Commercio’


Contenuti dell'articolo

Nel cuore del centro storico di Roma, tra i sampietrini di Via del Banco di Santo Spirito e la maestosa vista di Castel Sant’Angelo, si è consumata una battaglia amministrativa che si trascina da oltre un anno. Un ristorante del centro, dopo ripetuti ‘No’ e rinvii da parte del Campidoglio, ha ottenuto dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio una sentenza (la n. 17496 del 14 ottobre 2025) di condanna nei confronti di Roma, colpevole di non aver dato esecuzione a due precedenti pronunce giudiziarie ormai definitive. Al centro della contesa, un dehors — uno spazio esterno su suolo pubblico — richiesto dal locale per completare la propria attività in via del Banco di Santo Spirito. Una concessione che l’amministrazione comunale capitolina ha negato con ostilità, nonostante attività confinanti godano dello stesso privilegio, aprendo così un evidente caso di disparità di trattamento.

Il Tribunale: Roma ha ignorato la legge e due sentenze definitive

La sentenza n. 17496/2025 del Tar Lazio, Sezione Seconda Ter, parla chiaro: il Campidoglio ha disatteso due decisioni precedenti (n. 6391/2024 e n. 22242/2024) che già imponevano di riesaminare il Piano di Massima Occupabilità (PMO) della zona, necessario per concedere lo spazio richiesto. Invece di eseguire quanto stabilito dal Tribunale, l’amministrazione guidata dal sindaco Roberto Gualtieri e dall’assessora alle Attività Produttive Monica Lucarelli ha scelto di sostenere che la nuova delibera comunale 118/2025 – ossia il nuovo ‘Piano Commercio’ per il centro storico, che ora evidentemente traballa – avesse ormai superato le norme sui PMO, rendendo inutile ogni ulteriore valutazione.

Una tesi definita “infondatissima” dal Tribunale, che ha ricordato come la revisione del piano resti obbligatoria fino alla sua formale abrogazione e, soprattutto, necessaria per garantire il rispetto delle precedenti sentenze.

Condanna e commissariamento del Campidoglio

Il comportamento del Campidoglio ha spinto i giudici ad adottare una misura straordinaria: la nomina del Prefetto di Roma come Commissario, con il potere di sostituirsi integralmente all’amministrazione capitolina. Il Prefetto avrà 30 giorni di tempo per eseguire le sentenze e potrà delegare un dirigente o funzionario per svolgere sopralluoghi e verifiche istruttorie “nei termini più utili” al completamento del procedimento. Le spese di questa fase — definite “necessitate dall’inerzia di Roma Capitale” — saranno interamente a carico del Comune di Roma, che dovrà anticipare 1.000 euro al Commissario e altri 1.500 euro alla parte ricorrente.
Un richiamo severo, che suona come un atto di sfiducia verso la capacità del Campidoglio di rispettare la legalità amministrativa e di garantire un trattamento equo ai cittadini e agli operatori economici.

Il principio ribadito: uguaglianza e buon andamento

Il Tribunale ha riaffermato un principio essenziale: l’amministrazione non può negare a un nuovo esercente ciò che ha già concesso ai vicini, solo perché il piano regolatore degli spazi pubblici risale a un’epoca in cui il nuovo locale non esisteva ancora. Una logica che, se accettata, congelerebbe l’economia del centro storico, impedendo a chi apre oggi di godere degli stessi diritti riconosciuti a chi opera da anni.
Per i giudici, i PMO devono essere strumenti dinamici, capaci di evolversi con la città e di garantire parità di accesso alle opportunità economiche. L’atteggiamento del Campidoglio, al contrario, ha “tradito i principi di buon andamento e imparzialità” previsti dalla Costituzione.

Una lezione di diritto e responsabilità amministrativa

La sentenza va ben oltre il singolo caso. È una lezione di responsabilità istituzionale che chiama in causa direttamente la giunta Gualtieri, e in particolare l’assessora Lucarelli, titolare delle deleghe al commercio e alla gestione del suolo pubblico.
Per il Tribunale, il Comune di Roma avrebbe potuto — e dovuto — istruire autonomamente la richiesta di concessione, anche a prescindere dal PMO, per dare concreta esecuzione alle proprie obbligazioni e rispettare i principi di efficienza, economicità e buona fede amministrativa.
L’inerzia e le interpretazioni restrittive, invece, hanno prodotto un cortocircuito istituzionale, costringendo la magistratura a intervenire ancora una volta per garantire l’esecuzione di una decisione già definitiva.

Una vicenda simbolo di una Roma che resiste al cambiamento

Quella del dehors “negato” con vista su Castel Sant’Angelo è più di una storia giudiziaria: è il simbolo di una Roma ancora intrappolata tra burocrazia e lentezza decisionale, dove anche un semplice spazio esterno può diventare teatro di un conflitto tra diritti e potere amministrativo.
La nomina del Prefetto come commissario straordinario rappresenta un atto di sfiducia istituzionale senza precedenti recenti, ma anche un segnale forte: la giustizia non può essere elusa dalle interpretazioni politiche.
Mentre la città si prepara alla disapplicazione dei vecchi PMO, la vicenda di Via del Banco di Santo Spirito diventa un monito: Roma deve imparare a coniugare tutela del patrimonio, rispetto della legge e sviluppo economico.
Solo così potrà evitare che la prossima sentenza arrivi, ancora una volta, a ricordarle l’ovvio — che il diritto dei cittadini non è una concessione, ma un dovere della pubblica amministrazione.