Roma, omicidio ‘Barbetta’: spari davanti all’asilo, condannati mandanti e killer di Andrea Gioacchini

Polizia scientifica

Lo avevano fatto fuori a colpi di pistola, in pieno giorno e sotto gli occhi del quartiere. Era appena uscito dall’asilo in via Castiglion Fibocchi, alla Magliana dove aveva accompagnato i figli, e pensava di essere tornato alla vita dopo il carcere. Ma Andrea Gioacchini, detto “Barbetta”, era già un uomo segnato. Cinque anni dopo quel 10 gennaio 2019, la giustizia ha dato un volto e un nome ai responsabili: Ugo Di Giovanni e Emiliano Sollazzo, ritenuti i mandanti, sono stati condannati a 30 anni di carcere ciascuno. Fabrizio Olivani, l’uomo che ha premuto il grilletto, ne sconterà 20.

Aggravante del metodo mafioso

La sentenza, pronunciata dal gup di Roma riconosce l’aggravante del metodo mafioso. Perché quello che è successo alla Magliana non è stato solo un regolamento di conti. È stato un messaggio: chi ostacola l’ascesa di certi nomi nel crimine romano, viene eliminato. Gioacchini, uomo con forti legami con la piazza di spaccio di Ponte Milvio – protetto persino da Fabrizio Piscitelli, alias “Diabolik”, capo ultrà ucciso sette mesi dopo – era considerato intoccabile. Eppure è stato tradito, probabilmente da chi si professava suo amico.

Ucciso a Roma davanti all’asilo, in manette killer e mandante: sono legati alla Banda della Magliana

Il legame con la Banda della Magliana e la vendetta premeditata

Dietro il suo omicidio ci sarebbe una rete che affonda le radici nella vecchia criminalità romanaUgo Di Giovanni, detto “Cash”, noto nel quartiere come “il nipote” di Michele Senese, alias “o’ pazz”. Sollazzo è imparentato con uno dei fondatori della Banda della Magliana. Insieme hanno armato la mano di Olivani, fornendogli scooter e pistola, secondo quanto rivelato dai pentiti Capogna. Fondamentali, per arrivare al processo, le testimonianze di Simone Capogna, che avrebbe riconosciuto l’esecutore materiale “dagli occhi” e ha fatto i nomi di chi ha deciso la fine di Barbetta.

La faida per il potere. Il Pm: “Omicidio di mafia”

Gioacchini, secondo la ricostruzione, non avrebbe fatto mistero della sua rabbia: dal carcere minacciava di sistemare i conti con Ugo Di Giovanni. Ma fuori, ad aspettarlo, non c’era la pace, bensì un killer. Secondo i pentiti, “Cash” non vedeva l’ora di eliminarlo: serviva solo un pretesto. La scintilla è scattata quando un altro uomo della mala, Alberto Viola, legato ai clan Mazzarella-D’Amico, chiede protezione per non pagare un debito con Gioacchini. Da lì, parte il piano: minacceuna proposta di rapina mai realizzata e infine il blitz.

Per il pm Francesco Cascini, che aveva chiesto 30 anni per tutti, non ci sono dubbi: questo è stato un omicidio di mafia. Pianificato, ordinato, eseguito. Un colpo inferto non solo a un uomo, ma a un equilibrio criminale, in una guerra sotterranea che ancora oggi scrive pagine di sangue nella capitale.