Roma, parte il processo a Maria Rosaria Boccia: è accusa di stalking e minacce contro l’ex ministro Sangiuliano
                    Roma, è fissato per il 9 febbraio 2026 l’inizio del processo che vede imputata Maria Rosaria Boccia, imprenditrice romana nota nell’ambiente della comunicazione e del turismo. La donna dovrà rispondere delle accuse di stalking, minacce e lesioni nei confronti dell’ex ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, oggi corrispondente Rai da Parigi. Il procedimento sarà discusso davanti al Tribunale di Roma, nella sezione penale presieduta dal giudice Gabriele Fiorentino, che ha convocato le parti per le ore 11.30.
La data è tutt’altro che casuale: il processo partirà dopo la conclusione delle elezioni regionali, per evitare sovrapposizioni tra giustizia e campagna politica. A costituirsi parte civile, oltre allo stesso Sangiuliano, ci sono tre soggetti: la moglie del giornalista, Federica Corsini, rappresentata dall’avvocato Giuseppe Pepe, e Francesco Gilioli, capo di gabinetto del ministero della Cultura, assistito dall’avvocato Renato Archidiacono.
    Una persecuzione durata mesi, secondo l’accusa
La vicenda, ricostruita nei fascicoli della Procura di Roma, si è sviluppata in un arco di diversi mesi del 2024, durante il mandato di Sangiuliano come ministro del governo di centrodestra. Le accuse parlano di una lunga e ossessiva persecuzione condotta da Boccia, fatta di telefonate, messaggi, pedinamenti e intrusioni nella vita privata del ministro e del suo entourage.
Secondo gli inquirenti, la donna avrebbe preteso di partecipare alle attività istituzionali del dicastero e di essere informata sui colloqui riservati del ministro. In più occasioni, avrebbe tentato di imporsi come figura di riferimento politico e comunicativo del ministero, nonostante non ricoprisse alcun ruolo ufficiale.
Il culmine della tensione, riportano gli atti, fu raggiunto durante una missione a Sanremo, dove la Boccia avrebbe messo in atto una serie di comportamenti umilianti e vessatori, arrivando a imporre all’allora ministro di mantenere la porta del bagno aperta durante una pausa, in un episodio definito dagli investigatori “di estrema violenza psicologica”.
Dalla chiave d’oro di Pompei alle minacce quotidiane, tra Roma e il ministero
Il dossier degli inquirenti elenca 33 episodi riconducibili a un unico disegno persecutorio. Tra questi, la richiesta di ricevere la “chiave d’oro della città di Pompei”, simbolo destinato alle autorità di alto profilo, che la donna avrebbe preteso di ottenere “in quanto figura di fiducia del ministro”.
Le pressioni si sarebbero fatte via via più aggressive: messaggi intimidatori, intrusioni negli uffici ministeriali, minacce di rendere pubblici documenti privati. L’ex ministro, a un certo punto, si sarebbe visto costretto a limitare i contatti, finendo però nel mirino di una campagna personale fatta di accuse, insinuazioni e atteggiamenti ossessivi.
La denuncia di Sangiuliano, presentata nell’estate del 2024, ha dato il via a una rapida indagine della Sezione reati contro la persona della Polizia di Stato, che ha raccolto testimonianze, messaggi e audio ritenuti idonei a sostenere l’impianto accusatorio.
Il contesto politico e l’impatto pubblico deflagrante
L’intera vicenda si inserisce in un momento particolarmente delicato per la politica italiana. All’epoca dei fatti, Sangiuliano era uno dei ministri più in vista del governo di centrodestra, e la sua figura era spesso al centro del dibattito pubblico su cultura e identità nazionale.
L’inchiesta, pur riguardando aspetti personali e privati, ha avuto un forte risvolto istituzionale: per mesi, gli uffici del ministero hanno dovuto gestire tensioni, verifiche interne e problemi di sicurezza legati alla presenza dell’imprenditrice. La costituzione di parte civile da parte del capo di gabinetto, Gilioli, è un segnale chiaro del disagio vissuto anche all’interno dell’amministrazione pubblica.
Gli osservatori sottolineano come questo processo rappresenti un banco di prova per la giustizia, chiamata a definire i confini tra vita privata, incarichi istituzionali e responsabilità mediatica.
Un caso emblematico di “stalking istituzionale” a Roma
Il caso Boccia-Sangiuliano viene già definito dagli esperti di diritto penale come uno dei primi esempi italiani di “stalking istituzionale”, ovvero un comportamento persecutorio messo in atto da chi, pur non ricoprendo ruoli pubblici, tenta di inserirsi nei circuiti di potere attraverso manipolazioni e minacce.
La Procura intende dimostrare che non si è trattato di una semplice relazione finita male, ma di una strategia di pressione psicologica e sociale mirata a ottenere vantaggi e visibilità. L’accusa di lesioni personali si riferisce a un episodio in cui l’ex ministro avrebbe riportato contusioni dopo un alterco, circostanza su cui gli avvocati della difesa non hanno ancora fornito dichiarazioni.
Il processo, che si aprirà tra poco più di un anno, sarà seguito con attenzione non solo per la notorietà dei protagonisti, ma anche per le sue implicazioni sul rapporto tra vita pubblica e privata delle istituzioni.
Verso il dibattimento al Tribunale di Roma
Nel frattempo, il giudice Fiorentino ha disposto la notifica dell’imputazione e il rinvio a giudizio. Boccia, difesa da un collegio di legali di fiducia, respinge ogni accusa e si dichiara vittima di una “campagna mediatica ingiusta”. Ma le carte della Procura sembrano raccontare un’altra storia, fatta di ossessioni, potere e paura.
Il 9 febbraio 2026 si aprirà dunque un processo che promette di far discutere. Un caso in cui la giustizia dovrà misurarsi con i limiti della convivenza tra potere politico, ruolo mediatico e fragilità umane.