Roma, recupero dello stadio Flaminio, il progetto del presidente Lotito resta al palo

Roma, Claudio Lotito, il presidente della SS Lazio

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Roma, se ne parla da mesi, ma la svolta non c’è. La Lazio attende da circa un mese una comunicazione formale da Roma per fissare un incontro e sciogliere i nodi che bloccano il progetto di recupero dello stadio Flaminio. Nel frattempo, i documenti che mancano restano nel cassetto: il club biancoceleste intende presentarli solo quando il Comune chiarirà se intende riconoscere o meno il diritto di superficie. È il prerequisito che, nelle intenzioni del presidente Claudio Lotito, deve legare le mani al progetto e sbloccare un confronto finora rimasto in sospeso.

Il nodo del diritto di superficie

È il punto cardinale dell’operazione. Senza un titolo che assicuri stabilità nel tempo, investire centinaia di milioni su un impianto pubblico diventa un azzardo. Lotito lo ha detto con nettezza: l’impegno economico complessivo ipotizzato non può prescindere da una cornice giuridica solida. Il diritto di superficie garantirebbe alla società la possibilità di pianificare su orizzonti pluridecennali, ammortizzando costi e interventi. In assenza di certezze, ogni altro passaggio rischia di trasformarsi in un giro a vuoto, con costi di transazione che ricadono sull’interesse generale.

Il piano economico-finanziario asseverato

Al prossimo tavolo, la Lazio ha promesso di depositare il piano economico-finanziario asseverato: un documento che certifica la sostenibilità dell’investimento e la sua copertura nel tempo. È un passaggio di trasparenza atteso, utile non solo alla politica ma ai cittadini: significa mettere nero su bianco come e con quali flussi il club pensa di pagare l’opera, quali ricavi attesi e quali garanzie. Senza questo documento, ogni cronoprogramma resta teorico. Con esso, il Comune può valutare impatti, benefici e compensazioni, dal cantiere alla gestione.

Roma avanti, Lazio al rallentatore

Il confronto con l’altro grande dossier cittadino è inevitabile. Nel bilancio dei quattro anni di governo, il sindaco Roberto Gualtieri ha dedicato ampio spazio al nuovo stadio della Roma a Pietralata, progetto oggi più avanti nell’iter. Sul Flaminio, invece, il primo cittadino ha parlato di “confronto aperto sulla procedura più adeguata”, senza novità sostanziali. Lotito, ironizzando sulla fede giallorossa del sindaco, ha colto l’occasione per lamentare una spinta insufficiente. Ma il dato politico resta: due percorsi con velocità diverse, e un’agenda pubblica che deve tenere insieme entrambi.

Costi, risparmi e sostenibilità nel tempo

La scommessa biancoceleste ruota intorno a una regola semplice: l’opera si ripaga nel tempo. Lotito stima che il combinato tra risparmio del canone per l’Olimpico e le rate fiscali ancora dovute—circa 15 milioni l’anno—possa alimentare la sostenibilità del piano. L’investimento ipotizzato per il Flaminio sfiora i 430 milioni, con 140 destinati al territorio. È la cifra che separa le intenzioni dai fatti. Per il pubblico, la domanda è: quale ritorno in termini di servizi, manutenzione, rigenerazione urbana e qualità della vita? È qui che si misura l’utilità collettiva.

Rigenerare il quartiere, non solo lo stadio

Il riferimento dichiarato è l’esempio Arsenal: valorizzare l’intorno dell’impianto, attivando funzioni miste e nuova residenzialità dove possibile. Nel quartiere Flaminio, denso e delicato, la sfida è maggiore. Servono piani di mobilità adeguati, mitigazione acustica, gestione degli afflussi, equilibrio tra spazi pubblici e interessi privati. Lotito assicura che la Lazio è in grado di sostenere l’investimento senza altri soci. Ma rigenerare significa cucire quartiere, funzioni e servizi: verde, ciclabilità, arredo urbano, impianti sportivi di base. È su queste opere che il progetto può conquistare consenso reale.

La politica delle priorità

Le “stilettate” tra Comune e club non aiutano. Il tema non è l’appartenenza calcistica ma l’ordine delle priorità e la qualità delle procedure. Se davvero, come ipotizzato, entro il 2030 Roma e Lazio investissero complessivamente circa 1,5 miliardi nei rispettivi impianti, la Capitale avrebbe l’occasione di ridisegnare il proprio sistema sportivo e culturale. Ma servono tempi certi, regole chiare e una regia unica sugli impatti urbani. La trasparenza sullo stato degli atti—e sui motivi dei rallentamenti—è un dovere istituzionale verso i cittadini.

La tentazione del mercato finanziario

Nelle ultime settimane è affiorata l’ipotesi di una quotazione al Nasdaq, direttamente della società o tramite una controllata. Strada complessa, come dimostrano oscillazioni tipiche delle nuove quotazioni. L’eventuale operazione aprirebbe interrogativi su governance e diluizione delle quote, ma, soprattutto, sulla funzione: sarebbe una leva per accelerare il progetto o un piano parallelo senza impatto sui tempi del Flaminio? Per la città interessa un solo esito: che la finanza non diventi un alibi, bensì uno strumento a supporto di opere concrete e misurabili.

Cosa serve per sbloccare davvero

Un cronoprogramma pubblico, un sì o un no sul diritto di superficie, il deposito del PEF asseverato, un confronto trasparente su viabilità e servizi: l’“agenda minima” è chiara. A questa vanno aggiunte garanzie sulla manutenzione, sulla fruibilità dell’impianto per eventi non calcistici e su eventuali canoni o oneri di urbanizzazione da reinvestire nel quartiere. Con queste premesse, il progetto può uscire dal limbo e diventare un cantiere credibile. Senza, resterà una promessa appesa, con costi d’opportunità per tutti.

L’interesse pubblico come bussola

Al netto dei colori, la città ha bisogno di impianti sicuri, accessibili e integrati. Che si tratti di Pietralata o del Flaminio, la vera partita è la ricaduta collettiva: lavoro durante i cantieri, servizi permanenti, spazi aperti, manutenzione programmata, sicurezza, trasporti. Il resto—polemiche, battute, fede sportiva—fa rumore ma non produce risultati. Per questo il progetto Flaminio, oggi fermo al palo, va riportato su binari amministrativi limpidi. Solo così, tra club e istituzioni, si potrà passare dai titoli alle opere. E dai rendering alle chiavi.