Roma, ricatti contro Lotito: blitz all’alba, 5 perquisizioni e telefonini sequestrati
Roma, alba tesa e porte che si aprono con un decreto in mano: i carabinieri del Nucleo Investigativo hanno eseguito cinque perquisizioni nell’ambito di un’inchiesta che scuote il mondo Lazio e finisce dritta nel punto più delicato: la proprietà del club e la sua immagine pubblica. Tablet, computer e cellulari sono stati sequestrati nelle abitazioni e negli uffici degli indagati: ora saranno analizzati per ricostruire contatti, eventuali coordinamenti e soprattutto la “regia” di una presunta campagna di pressioni.
Le accuse: minacce per “costringerlo a vendere”
Il cuore dell’indagine nasce dalle denunce presentate da Claudio Lotito. Secondo l’ipotesi della Procura di Roma, i cinque avrebbero messo in atto minacce ripetute – tra social, email e telefonate anonime – con un obiettivo preciso: spingere il presidente a cedere il controllo della società. Un salto di qualità inquietante, perché qui non si parla più della classica contestazione da stadio, ma di un presunto tentativo di estorsione travestito da pressione “ambientale”.
Quando la tifoseria diventa “rumor”: l’ombra della Borsa
C’è poi un capitolo ancora più spinoso, perché la Lazio è anche una società quotata. Ed è qui che entra in scena l’ipotesi di manipolazione del mercato: gli indagati – sempre secondo l’accusa e insieme a terzi non identificati – avrebbero diffuso notizie ritenute false su una cessione imminente, su scenari di quasi dissesto e persino su una presunta volontà di “far retrocedere” la squadra. Voci buttate nel frullatore dei social e rilanciate anche tramite una testata online, con l’effetto potenziale di alterare la percezione pubblica e, di riflesso, il valore delle azioni.
In parole semplici: far ballare la reputazione del club e il “polso” del titolo in Borsa a colpi di post, insinuazioni e titoli acchiappa-click. È la nuova frontiera delle pressioni nel calcio moderno: non serve più (solo) il coro allo stadio, basta un’ondata digitale ben organizzata per creare panico, aspettative, sospetti.
Dallo striscione in cielo a Formello alle indagini di oggi
Il clima attorno alla gestione Lotito, del resto, è incandescente da mesi. La contestazione è arrivata perfino in quota: nell’estate scorsa un aereo ha sorvolato Formello con lo striscione “Lotito libera la Lazio”, episodio che gli inquirenti ora ricollegherebbero – almeno sul piano investigativo – a uno degli indagati, che avrebbe commissionato l’iniziativa.
Quel gesto, diventato virale tra foto e video, è la sintesi perfetta del momento: un conflitto che non resta più confinato alle curve, ma punta dritto al simbolo della proprietà, trasformando la battaglia per il consenso in una campagna permanente.
“Dopo la Digos, oggi i Carabinieri”: lo sfogo di un indagato
Tra i cinque indagati figura anche il giornalista Stefano Greco, che ha affidato ai social il racconto della perquisizione subita: sei militari arrivati prima delle 7, controlli sui computer e sequestro del cellulare. Nel suo post, Greco contesta anche un presunto “doppio binario” nelle indagini: un anno fa, racconta, avrebbe denunciato insulti e minacce senza vedere sviluppi; oggi invece l’intervento è stato immediato, “ma io non sono Lotito”.
Presunzione d’innocenza, ma il segnale è chiarissimo
Adesso la partita vera si gioca nei dispositivi sequestrati: chat, email, account social, eventuali contatti con soggetti esterni e il possibile coordinamento dietro la diffusione delle notizie contestate. Siamo ancora nella fase delle ipotesi investigative e vale la presunzione d’innocenza. Ma il messaggio che arriva, forte e secco, è uno solo: quando la contestazione supera il confine e diventa minaccia – o quando il “rumor” si trasforma in un’arma – non è più solo calcio. È cronaca giudiziaria.