Roma, riciclavano i soldi della mafia con “oro nero”, estorsioni e usura: 140 anni di carcere per la banda dei figli dei boss Senese e Nicoletti

Operazione Assedio DIA Antimafia Roma

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140 anni di carcere: è questa la somma delle condanne inflitte, con rito abbreviato, dai giudici del Tribunale di Roma a 22 imputati, dopo anni di indagini silenziose, intercettazioni e pedinamenti, per maxi inchiesta “Assedio”, che ha svelato il volto di un nuovo impero mafioso che aveva preso possesso di Roma. Un meccanismo che, secondo le indagini, univa vecchie glorie della Banda della Magliana, rampolli del clan Senese e l’ombra inquietante delle mafie italiane più potenti.

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Il ritorno dei “figli di” in un gioco pericoloso da miliardi

Erano i figli dei boss, ma volevano molto di più che vivere di rendita. Antonio Nicoletti, erede di Enrico, l’ex cassiere della Banda della Magliana, è stato condannato a 8 anni. In “affari” con lui, Vincenzo Senese, figlio di Michele “O’ Pazz”, rinviato a giudizio. Avrebbero costruito una macchina perfetta per ripulire soldi sporchi. Due i filoni principali: uno gestito attraverso una rete di aziende fantasma, intestate a prestanome, utile per far circolare milioni provenienti da estorsioni, usura e traffici illeciti; l’altro, più sofisticato, legato al settore petrolifero, dove il denaro si travestiva da investimenti e consulenze.

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Dal cinema al crimine: il “regista” del riciclaggio

Tra i condannati spicca il nome di Daniele Muscariello, produttore cinematografico con più ombre che luci, definito dagli inquirenti uno dei principali riciclatori di denaro mafioso: per lui, 14 anni. Accanto a lui, un nome che fa tremare: Roberto Macori, che sarebbe legato ai Senese, ma anche a Massimo Carminati e Gennaro Mokbel, condannato a 10 anni. Perfino un brigadiere del Nucleo Investigativo di Frascati, Antonio Marano, finisce nella rete: per lui, 4 anni di reclusione.

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Tutta Roma in pugno: estorsioni, fatture false e l’ombra di Messina Denaro

Le accuse sono pesantissime: associazione mafiosa, estorsione, usura, detenzione di armi, riciclaggio e intestazione fittizia di beni. Un sistema capillare, che secondo il sostituto procuratore Francesco Cascini utilizzava modalità tipicamente mafiose. Un’inchiesta che parte nel 2018 e che ha svelato un disegno criminale perfettamente organizzato: i clan calabresi e campani, le ’ndrine di Reggio Calabria, le famiglie Alvaro, Piromalli, Morabito, Mancuso, tutte, secondo l’accusa, a libro paga del duo Nicoletti-Senese. E spunterebbe anche un legame con Matteo Messina Denaro, che Nicoletti avrebbe aiutato durante la sua latitanza.

L’oro nero come lavatrice di denaro: business miliardario tra Roma e il Sud

Il secondo canale dell’organizzazione era ancora più redditizio: il mondo del petrolio. Qui gli indagati secondo le accuse manipolavano fatture, gonfiavano i costi, falsificavano documenti e si infiltravano in appalti e forniture. Un modo efficace per immettere nel circuito legale milioni di euro provenienti dal crimine. Un sistema che, di fatto, inquinava l’economia sana, drogava il mercato e finanziava nuove attività mafiose.