Roma, sale slot abusive: il boss della Magliana e la sua banda condannati a 70 anni di carcere

“Metto macchinette e slot machine dove voglio… e nessuno mi deve veni’ a rompe’ il ca..o a me”. Così parlava N., il vecchio boss di Roma Nord, l’ultimo superstite di un’epoca criminale che sembrava sepolta. Per oltre cinquant’anni ha attraversato indenne guerre di mala, arresti e tradimenti, riciclando sé stesso e i propri affari come un camaleonte del crimine. Credeva di poter dettare ancora legge nella capitale, imponendo con la violenza il suo impero di macchinette mangiasoldi abusive. Ma il tempo, anche per lui, si è fermato. Dopo un’inchiesta durata anni, la procura di Roma lo ha inchiodato insieme ai suoi sodali: 9 anni di carcere per il boss, oltre 70 complessivi per gli altri 16 imputati. È la fine di un’era. La notizia è stata riportata dal quotidiano La Repubblica.
Il racket delle macchinette
Dietro le luci al neon delle sale giochi e le vetrine dei bar, si nascondeva un sistema di gioco parallelo, illegale e spietato. Una rete capace di generare milioni di euro in nero, eludendo la rete telematica dei Monopoli di Stato. Le slot e i totem installati da N. e dai suoi uomini funzionavano con software manomessi, senza licenze, collegati a server esteri. Un “business” che prosperava grazie a intimidazioni e minacce. Chi non voleva piegarsi subiva incendi, furti o aggressioni. È accaduto al gestore della “Voglia di Caffè” in via Ipogeo degli Ottavi, il cui locale è stato dato alle fiamme. Stessa sorte per chi tentava di aprire una sala scommesse legale a Fiumicino. Era un racket che univa metodi antichi e tecniche moderne: violenza e cybercriminalità, insieme, sotto lo stesso marchio del terrore.

L’ombra lunga della Banda della Magliana
N. non è un nome nuovo per chi conosce la storia criminale di Roma. Negli anni Settanta era già tra i volti noti della Banda della Magliana, l’organizzazione che per anni ha tenuto in pugno la città tra sangue, droga e affari d’oro. I pentiti lo descrivevano come “l’uomo di fiducia” di uno dei capi storici, un mediatore tra clan, capace di tenere i contatti con tutte le fazioni della mala romana. La sua carriera criminale è costellata di episodi di sangue e misteri: vendette, attentati, regolamenti di conti. È stato protagonista della guerra interna che negli anni Ottanta fece saltare in aria vecchie alleanze e spalancò le porte ai nuovi affari. Un uomo capace di sopravvivere a tutto — anche ai propri fantasmi — reinventandosi, di decennio in decennio, come il burattinaio invisibile del gioco d’azzardo.
Dalla violenza al rispetto
Negli anni Novanta Roma conobbe il lato più oscuro del potere di N. — quando due dei suoi familiari scomparvero nel nulla, vittime di una “lupara bianca” che segnò un punto di non ritorno. Da allora, raccontano le intercettazioni, il boss cambiò strategia. Meno pistole, più affari. “Non ho più bisogno di azioni violente, ormai sono rispettato da tutti”, confidava ai suoi uomini. Ma quel “rispetto” era solo un’altra forma di paura. “Su Roma Nord, se metti un chiodo, devi passà prima da me”, diceva. E tutti lo sapevano. I commercianti lo chiamavano “il padrino”, metà per ironia, metà per terrore. La sua rete di influenza si estendeva ovunque: bar, tabacchi, sale giochi, fino ai quartieri popolari dove la Magliana aveva piantato le radici. Nessuno osava contraddirlo. Fino a quando qualcuno ha deciso di farlo davvero.
Il giorno della resa dei conti
L’inchiesta dei carabinieri, coordinata dai magistrati Nadia Plastina e Stefano Luciani, ha smantellato nel 2020 l’intera organizzazione. Decine di arresti, perquisizioni e sequestri milionari hanno svelato un sistema sofisticato, in cui l’illecito si mescolava alla normalità quotidiana. Nei bar del quartiere, tra un caffè e una schedina, si riciclava denaro sporco, si spartivano territori, si comprava il silenzio.
Oggi, quella lunga stagione criminale si è chiusa con una sentenza pesante: oltre 70 anni di carcere complessivi. È caduta l’aggravante del metodo mafioso, ma resta intatta la fotografia di un potere oscuro, capace di infiltrarsi nei luoghi più comuni della città. Roma cambia, ma certe ombre restano. E N., il boss che per mezzo secolo si è creduto intoccabile, ora osserva il suo regno svanire da dietro le sbarre.
Nel silenzio delle celle, forse, anche lui ha capito che il tempo — come la giustizia — prima o poi presenta sempre il conto.