Roma saluta Nicola Pietrangeli: camera ardente al Foro Italico, la città in fila (tra vip e gente comune) per l’ultimo addio
Roma, c’è un silenzio particolare quando una città saluta davvero uno dei suoi simboli: non è solo lutto, è riconoscenza. Al Foro Italico, sul campo che porta il suo nome, Nicola Pietrangeli torna “a casa” per l’ultima volta. E Roma risponde come sa fare quando si tratta dei suoi grandi: con una fila composta, con gli occhi lucidi, con il bisogno semplice di esserci. Per la camera ardente.
La musica scelta da lui: Aznavour per l’arrivo, Sinatra per l’addio
Ad aprire la camera ardente non ci sono parole altisonanti, ma note: quelle di Charles Aznavour. Un dettaglio che racconta Pietrangeli più di tante biografie, perché – dicono i figli – era tutto già deciso da tempo: il luogo, l’ora, perfino le canzoni. Come a voler mettere ordine anche nell’ultima scena, con quella sua ironia che non chiedeva permesso.
E poi, alla fine, “My Way”. La canzone che chiude la commemorazione e che, a sentire chi era lì, apre le dighe: perché è impossibile non pensare che in quel ritornello ci sia la sintesi perfetta di un uomo capace di farsi amare e discutere, applaudire e contestare, ma sempre da protagonista.
I figli, le lacrime e quella frase che resta: “La maglia azzurra era tutto”
Tra i momenti più intensi, il racconto dei figli. Marco ripete che è “tutto come voleva lui”. Filippo si commuove e confessa di non aspettarsi “questa esplosione d’affetto”. Poi la frase che inchioda la giornata a un sentimento condiviso: per Nicola, la maglia azzurra non era un dettaglio, era un’identità.
Vip, sportivi, politici: ma a colpire è la gente
Sì, è anche una “sfilata” di volti noti: il presidente del Coni tra i primi ad arrivare, e poi sportivi, istituzioni, politica. Passano anche personalità del mondo politico come Giuliano Amato e Pier Ferdinando Casini; alla commemorazione ci sono, tra gli altri, Adriano Panatta, il ministro Andrea Abodi e Licia Colò. Ma il centro emotivo resta quel popolo discreto che entra, si ferma un istante, abbassa lo sguardo e saluta.
Perché oggi sembra salutare un’epoca
Pietrangeli non è stato “solo” un campione: è stato il primo italiano a vincere il Roland Garros e il capitano che guidò l’Italia alla storica Coppa Davis del 1976. In un tennis che non aveva i riflettori di oggi, lui li accendeva con il talento e con il carisma. E forse è per questo che la sua scomparsa sembra chiudere un’epoca e insieme consegnarla alla memoria collettiva.
I funerali si tengono nel pomeriggio, in forma privata, nella chiesa di Santa Maria della Gran Madre di Dio a Ponte Milvio: “tutto come voleva lui”, ancora una volta. E anche l’ultimo saluto, rimandato di un giorno per il maltempo, finisce per assomigliargli: vita vera, imprevisti compresi.