Roma, santi e biscotti: le curiosità romane del 1° novembre
Il 1° novembre a Roma non è solo la festa di Tutti i Santi, è una data in cui la città eterna si ferma, ma senza mai davvero smettere di raccontarsi. Mentre i turisti si affollano al Pantheon, i romani preparano le “fave dei morti”, biscotti alle mandorle che profumano di casa, di ricordi e di superstizioni antiche.
Perché qui, tra una battuta e un’Ave Maria, anche la morte sa essere parte della vita quotidiana.
Dal Pantheon alla festa cattolica: il legame profondo con Roma
Pochi sanno che proprio Roma ha dato i natali alla festa di Tutti i Santi. Nel 609, Papa Bonifacio IV trasformò il Pantheon in una chiesa dedicata a Santa Maria ad Martyres, consacrandola “a tutti i martiri”. Da lì nacque il seme della celebrazione che, due secoli dopo, Papa Gregorio IV fissò al 1° novembre per l’intera Chiesa cattolica. E così, una festa che in origine aveva un cuore tutto romano, è diventata universale.
Ma a Roma la santità è cosa concreta: si va a messa, sì, ma poi si chiacchiera davanti a un vassoio di dolci o si passeggia al Cimitero Monumentale del Verano, tra le tombe di Gigi Proietti, Anna Magnani, Alberto Sordi. È un pellegrinaggio laico e affettuoso, dove la nostalgia diventa quasi un modo di fare compagnia a chi non c’è più.
Le “fave dei morti”: quando i biscotti raccontano un rito antico
Non c’è 1° novembre romano senza un vassoio di “fave dei morti” sul tavolo. Dietro questo dolce innocente si nasconde una storia millenaria: nell’antica Roma, durante le Lemuria e i Parentalia, le fave erano offerte ai defunti per tenere lontani gli spiriti inquieti. Con il tempo, la tradizione si è addolcita — letteralmente — e le fave sono diventate biscotti tondi, croccanti e profumatissimi, fatti con mandorle, albume e zucchero.
Oggi ogni forno romano ha la sua ricetta segreta. A Testaccio, Trastevere e Monteverde, i panifici storici continuano a prepararli come una volta, con quell’inconfondibile retrogusto amaro che sembra dire: “la vita va celebrata, pure nei giorni dei santi e dei morti”.
La fiaccolata sul Tevere e la Roma che non dimentica
C’è un gesto, ogni anno, che racconta la Roma della memoria meglio di mille parole. La sera del 1° novembre, decine di persone partecipano a una fiaccolata lungo il Tevere per ricordare le anime senza nome: chi ha perso la vita nel fiume o non ha più nessuno a portargli un fiore.
Le fiaccole si riflettono sull’acqua e la città sembra trattenere il respiro. Un’immagine silenziosa, bellissima, che spiega meglio di qualsiasi sermone cosa significhi davvero “eternità”.
Un giorno romano, tra fede e ironia
Roma vive il 1° novembre come solo lei sa fare: con rispetto, ironia e un pizzico di teatralità. È la città che riesce a passare da un’Ave Maria a una risata, da un forno pieno di biscotti a un cimitero che sembra un museo. Perché qui anche la morte, in fondo, ha imparato a convivere con la vita.