Roma, scambia un amico per l’amante della moglie: “Inginocchiati”, poi lo prende a martellate
Gli è bastato varcare la porta di casa e vedere un uomo seduto in salotto per perdere il controllo. Senza perdere tempo a fare domande o a chiedere spiegazioni, convinto che fosse l’amante di sua moglie, lo ha costretto a mettersi in ginocchio, picchiato e colpito alla testa con una mazzetta da muratore. È finita con una fuga disperata, una corsa sulle scale e una condanna per tentato omicidio. È successo a Roma, nel dicembre scorso, a pochi giorni dal Natale, in un appartamento in zona San Giovanni. Qualche giorno fa, al termine del processo con rito abbreviato, l’uomo, M.M. è stato condannato a 4 anni di reclusione per tentato omicidio.
“Mettiti in ginocchio”: calci, pugni e poi il martello
Quel giorno E.F., la vittima, aveva passato il pomeriggio con un’amica di vecchia data per sbrigare gli ultimi acquisti natalizi, come racconta Il Messaggero. Finito il giro, lei lo invita a casa per un caffè. Un gesto normale, senza secondi fini. I due stanno parlando in salotto quando il rumore della porta d’ingresso che si apre interrompe la conversazione. È il marito della donna, appena rientrato dal lavoro. La scena che si trova davanti basta a fargli salire in sangue al cervello. Vede la moglie con uno sconosciuto e, senza ascoltare spiegazioni, decide che quello è per forza un tradimento.
Secondo la ricostruzione, M.M. si avventa su E.F. con calci e pugni, mentre quest’ultimo prova inutilmente a farlo ragionare e a spiegargli: «Sono solo un amico». Poi l’ordine: «Adesso mettiti in ginocchio». La vittima obbedisce, sperando di placare quella rabbia cieca. Non serve. L’uomo afferra una mazzetta, un martello pesante usato nei cantieri, e lo colpisce violentemente alla tempia. Un colpo che avrebbe potuto uccidere. E che, secondo l’accusa, rientra a pieno titolo nel tentato omicidio.
La fuga disperata e la corsa in ospedale
Nonostante il trauma e lo shock, E.F. riesce a rialzarsi. Barcolla, è ferito, ma capisce che restare lì sarebbe troppo pericoloso. Prima che arrivi un secondo colpo, trova la forza di spostarsi, aprire la porta e scappare. Non si volta indietro. Stordito e sanguinante, corre finché può, chiede aiuto ai vicini e ai passanti, che chiamano le forze dell’ordine. Arriva l’ambulanza, i sanitari lo soccorrono e lo portano in codice rosso all’ospedale San Giovanni, dove i medici gli salvano la vita.
Una volta fuori pericolo, la vittima sporge denuncia. Le indagini ricostruiscono l’intera sequenza dell’aggressione. Nelle carte si parla di atti “idonei e diretti in modo non equivoco a cagionare la morte”, fermati solo da cause indipendenti dalla volontà dell’aggressore. Davanti al gup del Tribunale di Roma, il pubblico ministero Antonio Clemente aveva chiesto una condanna a 9 anni di carcere. La scelta del rito abbreviato porta però a una pena ridotta: 4 anni di reclusione per tentato omicidio.
Una sentenza che chiude il processo, ma non cancella la violenza di una gelosia trasformata in furia cieca, che solo grazie a una fuga non si è trasformata in tragedia.