Roma, scatta la “guerra alle auto”, 180 km di corsie preferenziali in centro in 2 anni: via al nuovo Piano del Campidoglio
A Roma la mobilità è sempre più un paradosso: si continua a vivere (e perdere tempo) in automobile, ma poi ci si stupisce se la città resta ferma, coi mezzi pubblici lenti e inadeguati, come conferma il recente provvedimento dell’Antitrust su Atac e i mezzi pubblici romani. I numeri raccontano una Capitale ancora autocentrica: la maggioranza degli spostamenti avviene con mezzo privato, mentre il trasporto pubblico resta molto indietro. E nel frattempo, l’“ora di punta” sembra diventata una condizione permanente: decine e decine di ore ogni anno trascorse in coda, con la sensazione che la città non riesca più a respirare.
Il maxi-piano: più corsie gialle, meno spazio per tutti
La risposta politica che arriva dal Campidoglio è un piano destinato a far discutere: 180 chilometri di nuove corsie preferenziali, ricavate da un’impostazione già prevista dagli strumenti urbanistici e rilanciate come “antidoto” agli ingorghi. Tradotto: si toglie carreggiata alle auto per “dare strada” a bus e taxi. Sulla carta è semplice. Nella vita reale, a Roma, “semplice” spesso significa: più strettoie, più colli di bottiglia, più nervi saltati.
La promessa: autobus più veloci. Il sospetto: solo più caos
L’idea è aumentare la velocità dei mezzi di superficie, oggi penalizzati dal traffico: autobus che procedono a passo d’uomo, si incastrano tra doppie file, cantieri e incroci saturi. Ma qui sta il punto politico (non tecnico): se non aumentano anche corse, affidabilità e qualità del servizio, la corsia gialla rischia di diventare un simbolo ideologico più che una soluzione. In altre parole: si “punisce” l’auto sperando che la gente scappi sui mezzi, senza garantire davvero che i mezzi siano una scelta credibile.
Chi paga il conto: residenti, commercianti, periferie
Ogni scelta di mobilità è una scelta sociale. Roma non è solo il centro: è una metropoli lunga e dispersiva, dove in molte aree la metropolitana non arriva e l’autobus rappresenta spesso l’unica alternativa, quando funziona. In questo scenario, comprimere ancora le carreggiate nel cuore della città rischia di scaricare i costi su chi non ha alternative: pendolari, lavoratori, famiglie, consegne. E il risultato potrebbe essere un’escalation di rabbia quotidiana: clacson, ritardi, giri interminabili per un parcheggio, attività commerciali che temono il calo di accessi.
Telecamere e multe: la stretta è già scritta
C’è poi l’altra faccia della medaglia: far rispettare le preferenziali. Più corsie dedicate significa inevitabilmente più controlli e più sanzioni, con il rischio che la “cura” venga percepita come un’operazione di cassa o come una macchina punitiva piuttosto che come un progetto di riorganizzazione urbana. Per molti cittadini, infatti, il confine tra regole e vessazione è sottile quando la città non offre alternative solide.
Il vero nodo: piano di trasporto o scorciatoia politica?
Il problema non è voler far funzionare autobus e taxi: il problema è farlo senza trasformare Roma in una città “strozzata” dove si taglia spazio alle auto prima di costruire alternative robuste. Se l’operazione diventa un intervento “a pezzi”, visibile e impattante ma non accompagnato da un salto di qualità del trasporto pubblico, il rischio è uno solo: più conflitto sociale e più paralisi. E alla fine, a pagare, come sempre, è il cittadino medio: quello che non fa ideologia, ma deve semplicemente arrivare al lavoro in orario.