Roma, si spaccia per nipote di Mattarella per ottenere il posto di primario al Gemelli: urologo a processo

Policlinico Gemelli

Si è finto nipote del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella per ottenere il posto di Primario in uno dei maggiori ospedali di Roma. Una “scorciatoia” che al dottor M. B., urologo romano di 59 anni, è costata cara, visto che è stato rinviato a giudizio con accuse pesanti: sostituzione di personatentata truffafalso materiale e contraffazione del sigillo dello Stato. Il tutto per cercare di ottenere il ruolo di primario di Urologia al Policlinico Gemelli di Roma.

La messinscena: telefonate e lettere false

Nel ottobre 2022, il medico ha contattato i vertici del Gemelli, presentandosi inizialmente come un funzionario della Presidenza della Repubblica. Ha preannunciato una telefonata imminente da parte del Presidente Sergio Mattarella, sostenendo che quest’ultimo desiderasse raccomandare suo “nipote” per il prestigioso incarico. In seguito ha effettuato ulteriori chiamate, spacciandosi direttamente per il Capo dello Stato, insistendo sull’assunzione del presunto parente.

Per rendere il tutto più credibile, l’uomo si è presentato di persona negli uffici del direttore generale Marco Elefanti e del direttore scientifico Giovanni Scambia, consegnando lettere di raccomandazione falsamente firmate da Mattarella e corredate da un sigillo dello Stato contraffatto. Però, nonostante l’attenzione messa dal medico nell’architettare il raggiro, i dirigenti del Policlinico Gemelli hanno intuito l’inganno e hanno denunciato l’accaduto alle autorità competenti.

Le indagini e il rinvio a giudizio

Le indagini, coordinate dal pubblico ministero Giulia Guccione, hanno portato alla luce l’intera vicenda, culminando nel rinvio a giudizio dell’urologo. Le accuse mosse nei suoi confronti sono gravi e comprendono la sostituzione di persona, la tentata truffa, il falso materiale e la contraffazione del sigillo dello Stato, reato quest’ultimo punibile con la reclusione da tre a sei anni. Sia la Presidenza della Repubblica che la Presidenza del Consiglio dei Ministri si sono costituite parte civile nel processo.

La difesa: una “provocazione per denunciare il sistema”

L’avvocato difensore, Maria Letizia Sassi, ha dichiarato che il gesto del suo assistito era una sorta di “pantomima” volta a denunciare le presunte logiche clientelari presenti nelle nomine universitarie. Secondo la difesa, il medico non avrebbe cercato di nascondere la propria identità, utilizzando una SIM a lui intestata e producendo documenti falsi facilmente riconoscibili come tali. L’obiettivo sarebbe stato quello di sollevare un dibattito sul merito e sulla trasparenza nelle assegnazioni di incarichi accademici.

Il caso dell’urologo solleva interrogativi importanti sul sistema di nomine nel settore sanitario e accademico italiano. Mentre la giustizia farà il suo corso, la vicenda mette in luce la necessità di trasparenza e meritocrazia nelle istituzioni pubbliche.