Roma, slitta all’11 marzo 2026 il processo al ‘figlioccio’ di Licio Gelli: deve al Campidoglio 55 milioni

Roma, in foto Licio Gelli

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Roma, stato rimandato ancora una volta il processo in corso al Tribunale penale di piazzale Clodio a G.C., noto alle cronache giudiziarie nazionali e internazionali come il “figlioccio” di Licio Gelli, ex Gran Maestro della loggia massonica P2. L’udienza iniziale fissata per il 2 maggio 2025, poi spostata al 21 maggio, è ora slittata di altri dieci mesi, con nuova data fissata all’11 marzo 2026.

Il procedimento è in corso presso la sesta sezione penale. Era presente anche l’avvocatura del Comune di Roma Capitale. L’udienza del 21 maggio è stata rinviata perché si sarebbe presentato un solo testimone, mentre gli altri convocati avevano chiesto di poter partecipare da remoto: richiesta respinta dai giudici. Il risultato? Un rinvio che prolunga ulteriormente una vicenda giudiziaria, che si trascina da quasi vent’anni, di altri 10 ulteriori mesi.

Roma, quel buco da 55 milioni che parte dal 1997

Tutto comincia nel 1997, quando l’amministrazione Rutelli decide di espropriare un terreno agricolo per costruire un deposito dell’Atac. I proprietari del suolo fanno causa al Comune e ottengono un maxi-risarcimento di circa 65 miliardi di lire, pari a più di 30 milioni di euro.

In attesa di incassare la somma, cedono il credito a G.C., allora già noto per i suoi presunti legami con ambienti opachi e massonici. L’acquisto avviene a prezzo irrisorio rispetto al valore stabilito dal tribunale. Nel 2004, G.C. ottiene un decreto ingiuntivo per riscuotere l’intero importo dal Comune di Roma. Ma nel 2005 la Corte di Cassazione annulla tutto, ordinando la restituzione del denaro.

A Roma una garanzia ‘sospetta’

Con il debito da rimborsare e liquidità assente, G.C. propone al Comune una garanzia decisamente fuori dall’ordinario: un rocchetto di nickel wire, un filo sottilissimo di nichel, che lui stesso valuta oltre 36 milioni di euro. L’amministrazione accetta, nonostante le perplessità.

Il metallo viene conservato in un caveau, con un contratto di deposito che negli anni cresce fino a costare più di 200mila euro. Vengono indette sei aste pubbliche per venderlo, ma nessun acquirente si fa avanti. Intanto, iniziano a emergere dubbi sul reale valore della garanzia.

Il sequestro e le indagini della Guardia di Finanza

Nel 2018, la Guardia di Finanza interviene. Il rocchetto viene sequestrato e periziato. Il risultato è clamoroso: il metallo vale meno di 40mila euro. Una differenza abissale rispetto ai 36 milioni dichiarati da G.C. Altri beni analoghi, sempre riconducibili all’imputato, mostrano discrepanze simili. In un caso, un oggetto presentato come “preziosissimo” valeva appena 20mila euro, contro una stima dichiarata di 15 milioni. Gli inquirenti parlano apertamente di garanzie fittizie, una truffa su larga scala orchestrata per evitare di restituire al Comune i milioni incassati.

Un buco nei conti pubblici di Roma

Nel frattempo, il Campidoglio aveva già inserito in bilancio la somma di 55 milioni di euro come credito esigibile. Oggi, quella cifra rischia di diventare una perdita grave per le casse della città. Nessun incasso è mai arrivato. E mentre il processo slitta di anno in anno, resta aperta la questione sulla responsabilità degli uffici comunali che hanno accettato una garanzia così discutibile. Il caso non è solo giudiziario: è anche contabile e politico. Una ferita ancora aperta che pesa su una Capitale già in affanno, e che riporta alla ribalta le ombre mai dissolte di vecchie logge, poteri trasversali e opacità istituzionali.

Un processo simbolo di impunità?

L’ennesimo rinvio al 2026 solleva dubbi sulla efficacia del sistema giudiziario di garantire tempi certi, soprattutto in casi di rilevanza pubblica e economica di tale portata. Dopo quasi vent’anni, ancora nessuna sentenza, nessun risarcimento, nessuna chiarezza. Solo costi, attese e una lunga scia di domande senza risposta. Il “figlioccio” di Gelli continua a far parlare di sé, ma il Comune di Roma – per ora- resta senza giustizia e, purtroppo, anche senza soldi.