Roma, slitta l’avvio del processo al ‘figlioccio’ di Licio Gelli: deve al Campidoglio 55 milioni

Roma, sullo sfondo piazza del campidoglio, sede del comune, in primo piano il sindaco Roberto Gualtieri e Licio Gelli

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Roma, slitta l’avvio del processo al ‘figlioccio‘ di Licio Gelli: il finanziere deve al Campidoglio 55 milioni. Il processo che vede imputato G.C., noto alle cronache come il “figlioccio” dell’ex capo della P2, non è partito come previsto. L’udienza, attesa per oggi, 2 maggio, presso il Tribunale di piazzale Clodio, è saltata per motivi ignoti.

Il rinvio segna l’ennesimo rallentamento in una vicenda giudiziaria che si protrae da quasi due decenni e che coinvolge direttamente il Comune di Roma, creditore di una somma pari a circa 55 milioni di euro. La nuova data per l’avvio del procedimento è stata fissata per il 24 maggio. Il caso è nelle mani della seconda sezione penale, ma pesa come un macigno sulla gestione economica dell’amministrazione capitolina.

L’origine del credito milionario, a Roma il processo al figlioccio di Licio Gelli

Tutto ha inizio nel 1997, durante il mandato del sindaco Francesco Rutelli. Il Comune espropria un terreno agricolo per realizzare un deposito dell’Atac. I proprietari fanno causa e ottengono un maxi-risarcimento pari a circa 65 miliardi di lire. In attesa del pagamento, cedono il credito a G.C., finanziere con reputazione controversa e presunti legami con la loggia massonica P2.

L’acquisto avviene a un prezzo stracciato rispetto al valore riconosciuto dal tribunale. Nel 2004, un decreto ingiuntivo consente a G.C. di riscuotere dal Comune l’intera somma, ma la Corte di Cassazione interviene l’anno successivo, annullando tutto e ordinando la restituzione dell’importo.

La garanzia dubbia per Roma: Campidoglio deve riprendersi 55 milioni

Con il debito da restituire e senza liquidità, G.C. offre come garanzia un bene tanto curioso quanto sospetto: un rocchetto di nickel wire, un filo sottilissimo di nichel, che lui stesso valuta oltre 36 milioni di euro. L’amministrazione, all’epoca guidata da Walter Veltroni, accetta la proposta. Il rocchetto viene custodito in un caveau, con un contratto di deposito che negli anni lievita fino a superare i 200mila euro. Tuttavia, nessun compratore si presenta alle sei aste pubbliche indette per la vendita del metallo. Iniziano così a emergere forti dubbi sull’effettivo valore dell’oggetto.

Licio Gelli, l'ex capo della P2
Licio Gelli, l’ex capo della P2

Le indagini e il sequestro

Nel 2018, la Guardia di Finanza interviene e sequestra il rocchetto. Una perizia accerta che altri oggetti simili, riconducibili a G.C., avevano valori dichiarati fortemente gonfiati. Uno in particolare, presentato come un bene da 15 milioni di euro, valeva in realtà solo 20mila euro. Gli esperti arrivano alla stessa conclusione sul rocchetto di Roma: il suo valore reale non supera i 40mila euro. Per gli inquirenti è chiaro che si tratta di una maxi-truffa, una garanzia fittizia creata ad arte per evitare di restituire al Comune i milioni ricevuti in passato.

Un buco nei conti di Roma: il Campidoglio si attiverà?

Nel frattempo, il Campidoglio aveva già inserito in bilancio il credito di 55 milioni come voce attiva, contando su un incasso mai avvenuto. Oggi quella cifra rischia di trasformarsi in una perdita grave per l’ente, con possibili ripercussioni sulle finanze pubbliche. La vicenda ha riacceso il dibattito sulla gestione delle risorse comunali e sulle scelte operate dai funzionari che, nel tempo, hanno avallato la valutazione del controverso bene. Un intreccio di politica, finanza e misteri irrisolti, che riporta alla luce antichi fantasmi e solleva interrogativi su trasparenza e controllo nella cosa pubblica.