Roma, sposi nella Fontana di Trevi per le foto del matrimonio, per loro multa da 450 €: 3 mila € il costo ‘regolare’

Sposi nella Fontana di Trevi di Roma

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Roma, sposi nella Fontana di Trevi per le foto del matrimonio, per loro multa da 450 €: 3 mila € il costo ‘regolare’. Hanno scelto la Fontana di Trevi come sfondo per il giorno più importante della loro vita. Non un set cinematografico, né un red carpet, ma una delle icone di Roma, simbolo di bellezza e storia. Simona Boccuti e Valentino Valentini, due cittadini romani, hanno coronato il loro sogno d’amore con un gesto eclatante: subito dopo essersi sposati con una cerimonia civile nel Municipio IX, si sono immersi nella celebre fontana per scattare alcune foto. Un gesto romantico, istintivo e, soprattutto, vietato. La polizia locale non ha tardato a intervenire: per loro è arrivata una multa da 450 euro. Poco, se si considera che la stessa esperienza, seguendo le vie ufficiali, sarebbe costata almeno 3.000 euro.

Roma, Fontana di Trevi: il paradosso del regolamento

Non è un crimine, ma una trasgressione a un’ordinanza comunale. Il regolamento di Roma Capitale vieta l’accesso alle fontane monumentali, salvo autorizzazione speciale. Autorizzazione che, come spiegano gli sposi, è riservata a produzioni cinematografiche o set fotografici professionali. Per ottenerla serve rivolgersi a un’azienda del settore, sostenere costi elevati e attendere l’approvazione. Un iter lungo, macchinoso e non alla portata di tutti. Per Boccuti e Valentini, che lavorano part-time come addetti alle pulizie, non era un’opzione. Ma il sogno era troppo forte per rinunciarvi: e così hanno deciso di infrangere la regola, accettando fin da subito di pagarne il prezzo.

Un gesto simbolico, tra legalità e accessibilità

Quella che per alcuni può sembrare una bravata, per loro è stata una rivendicazione. Non un atto vandalico, né una mancanza di rispetto verso il patrimonio, ma un gesto simbolico. La loro immersione non ha causato danni, non è stata fatta di notte né in segreto. Nessun atto osceno o distruttivo. Solo due sposi che, per pochi minuti, hanno danzato nell’acqua della fontana sotto gli occhi di turisti e passanti, ricevendo applausi e consensi. Ma il sistema non ammette eccezioni: la sanzione è arrivata puntuale, benché non ci fosse una fattispecie precisa. Non erano turisti incivili né performer in cerca di like: solo due romani innamorati.

La questione di fondo: cultura per tutti o per pochi?

L’episodio ha riacceso il dibattito sulla gestione e l’accessibilità del patrimonio culturale italiano. La burocrazia e i costi elevati riservano esperienze speciali solo a chi può permettersele economicamente. Le location pubbliche diventano così esclusive, più facili da conquistare per produzioni internazionali o piattaforme digitali che per i cittadini stessi. E il gesto degli sposi si trasforma in una protesta implicita contro un sistema che, in nome della tutela, rischia di escludere. È lecito chiedersi: può l’amore trovare spazio tra le maglie strette delle ordinanze?

Un precedente che fa discutere

Il caso ha fatto il giro del mondo. Non solo per il romanticismo della scena, ma anche per la sproporzione tra la multa e il costo dell’autorizzazione ufficiale. I coniugi non si sono nascosti: hanno raccontato tutto, compreso il fatto di aver chiesto informazioni all’ufficio turistico del Comune, ottenendo solo conferme sulla rigidità della procedura. Da qui la scelta di “fare questa follia”, consapevoli di dover pagare. Il gesto ha scatenato discussioni, tra chi li condanna e chi li comprende. Un piccolo caso mediatico, ma con implicazioni più grandi: la città eterna appartiene ancora ai suoi cittadini?

Cosa resta: amore, acqua e multe

Oggi resta una foto virale, una multa pagata e un messaggio che interroga le istituzioni. Le fontane di Roma, simboli di arte e identità, possono ancora accogliere momenti spontanei e autentici, o sono ormai scenografie inaccessibili? Gli sposi hanno scelto di rischiare, preferendo versare 450 euro al Comune piuttosto che 3.000 a una società privata. Il loro gesto ha rotto le acque stagnanti di una normativa che separa il cittadino dalla propria città. E mentre le istituzioni tacciono, il dibattito si allarga: chi decide cosa è concesso nel nome dell’amore?