Roma, stop alla vendita delle 100 case Ater di Roma ovest: Pisana e Campidoglio fanno retromarcia

Roma, stop alla vendita delle 100 case Ater di Roma ovest: Pisana e Campidoglio fanno retromarcia. La dismissione delle oltre 100 case popolari Ater di via Pincherle e via dei Colli Portuensi è stata ufficialmente sospesa. Dopo anni di incertezza e proteste da parte degli inquilini, sindacati e associazioni, la Giunta regionale Rocca ha annunciato l’intenzione di congelare le procedure di alienazione e aprire un tavolo istituzionale per cercare soluzioni alternative.
Una svolta netta. Arrivata al termine di un’audizione in Commissione Urbanistica e politiche abitative del Consiglio regionale del Lazio. Audizione che segna un cambio di rotta nelle politiche abitative della Capitale.

Roma, le case prima “salvate” e poi rimesse in vendita
Gli appartamenti coinvolti si trovano in due complessi immobiliari acquistati nel 2019 dall’Ater proprio per evitare che finissero nel libero mercato. Dopo essere stati messi in vendita dai precedenti proprietari. All’epoca, la regione Lazio era guidata dal governatore Nicola Zingaretti, il Comune di Roma dall’ex sindaca grillina Virginia Raggi. L’intervento pubblico era stato allora salutato come una misura di tutela nei confronti degli inquilini. Molti dei quali vivevano da anni nelle abitazioni senza un contratto regolare ma pagando canoni consistenti, mediamente attorno ai 450 euro mensili.
Ora, a distanza di sei anni da quella decisione, la stessa Ater aveva avviato le procedure per la dismissione di quegli immobili. Questa volta con prezzi a valore di mercato e senza alcuna agevolazione per gli attuali occupanti. Una mossa che ha suscitato l’immediata reazione delle realtà territoriali e degli enti locali coinvolti.
Le proteste della periferia di Roma: “Noi, cacciate dalle nostre case”
I municipi interessati — l’XI e il XII — insieme ai sindacati e ai comitati degli abitanti, avevano già lanciato l’allarme nei mesi scorsi. Secondo le associazioni, gli inquilini si troverebbero oggi di fronte all’ennesima beffa. Dopo anni di affitti pagati a cifre elevate, e senza tutele contrattuali, rischierebbero ora di perdere la casa o di doverla acquistare a prezzi inaccessibili. In molti casi, si tratta di famiglie con redditi medio-bassi, che non rientrano nei parametri dell’edilizia residenziale pubblica ma nemmeno possono sostenere i costi del mercato privato.
La pressione esercitata sul Campidoglio e sulla Regione ha prodotto un primo risultato concreto: la sospensione della vendita e l’annuncio di un confronto tra istituzioni per individuare una soluzione strutturale.
Le difficoltà dell’Ater di Roma sulle case popolari
L’Ater, da parte sua, ha accolto con prudenza la decisione. L’azienda si è detta disponibile a una proroga, ma ha ribadito le proprie difficoltà economiche. Il bilancio dell’ente resta fortemente compromesso: pesano i debiti accumulati nel tempo, tra cui quelli verso il Comune di Roma per l’Imu non versata, l’elevata morosità degli inquilini in altre zone della città e la necessità di restituire un prestito di 34 milioni di euro ricevuto dalla Regione.
In questo contesto, la vendita degli immobili rappresentava per l’Ater una possibile boccata d’ossigeno finanziaria. Ma il costo sociale dell’operazione si è rivelato politicamente insostenibile.
Verso una soluzione strutturale per Roma?
Il tavolo istituzionale annunciato dalla Regione avrà il compito di trovare un compromesso tra le esigenze economiche dell’Ater e il diritto alla casa degli inquilini. Tra le ipotesi in campo c’è la possibilità di cedere gli alloggi a prezzi calmierati, o di mantenerli nel patrimonio pubblico con canoni sostenibili e regolarizzazione contrattuale degli attuali residenti.
Quel che è certo è che il caso di via Pincherle e Colli Portuensi rappresenta un banco di prova per le politiche abitative del Lazio e di Roma Capitale. Dopo anni di disattenzione e soluzioni tampone, il rischio concreto è che si riproponga il copione della privatizzazione strisciante del patrimonio pubblico. Il congelamento delle vendite è un primo passo, ma serve ora una strategia chiara per garantire il diritto all’abitare senza trasformare il disagio sociale in profitto.