Roma, tragedia a Rebibbia: detenuta si toglie la vita in carcere

Roma, carcere di Rebibbia

Un nuovo suicidio si è verificato all’interno della sezione femminile del carcere romano di Rebibbia, dove una detenuta si è tolta la vita durante la notte. La donna stava scontando una condanna a otto anni per tentato omicidio, in seguito a un fatto avvenuto nel 2024 a Terracina. È stata trovata impiccata nella propria cella dagli agenti della polizia penitenziaria, che non hanno potuto far altro che constatare il decesso.

Le autorità hanno avviato un’indagine per fare luce sull’accaduto, cercando di chiarire sia le dinamiche del gesto, sia eventuali responsabilità legate alla mancanza di sorveglianza, nonostante la detenuta fosse seguita dai servizi competenti per la tutela dei diritti delle persone recluse.

Al centro della vicenda c’era la domanda per la pensione di invalidità, presentata tempo prima, ma ancora in attesa di risposta da parte dell’INPS. La situazione burocratica, sommata alla condizione di detenzione, avrebbe contribuito a peggiorare uno stato di disagio psicologico già evidente.

Carcere e burocrazia

Secondo quanto riportato dalle autorità di garanzia del sistema penitenziario, l’accesso ai diritti sociali per i detenuti nel Lazio è fortemente ostacolato. Le difficoltà iniziano già con l’ottenimento delle certificazioni mediche, necessarie per avviare le pratiche di riconoscimento dell’invalidità civile. Queste certificazioni, a carico del detenuto, richiedono l’intervento di medici esterni, che non sempre sono disponibili all’interno delle carceri, a causa delle limitazioni dei piani sanitari regionali.

Una volta avviata la pratica, la situazione si complica ulteriormente: per ottenere la pensione, è necessario sottoporsi a visita medica presso la commissione INPS. Tuttavia, portare un detenuto agli uffici competenti risulta quasi impossibile, a causa della carenza di agenti penitenziari disponibili per il trasferimento. Questo passaggio, essenziale per il proseguimento dell’iter, si blocca di fatto, lasciando le richieste in sospeso e privando il detenuto di un diritto fondamentale.

Le difficoltà non riguardano solo le procedure per l’invalidità. La stessa dinamica si ripete per molte visite specialistiche: oltre il 60% degli appuntamenti medici esterni viene annullato o rinviato, con gravi conseguenze sulla salute delle persone recluse. Il problema è sistemico e riguarda tanto l’INPS quanto le ASL, che secondo gli esperti dovrebbero attivarsi con urgenza per garantire servizi essenziali anche all’interno degli istituti penitenziari.

Rebibbia al collasso

Il carcere di Rebibbia vive una situazione critica legata al sovraffollamento e alla mancanza di personale. La sezione femminile, con una capienza regolamentare di 272 posti, ospita attualmente 377 detenute, superando di oltre 100 unità il limite previsto. Questo fenomeno non è isolato: l’intera regione Lazio, ad agosto 2025, contava 6.827 detenuti a fronte di 5.308 posti disponibili, con un tasso di sovraffollamento pari al 28,6%, in aumento rispetto al mese precedente.

Accanto a questi numeri preoccupanti, si aggiunge la mancanza strutturale di agenti penitenziari. A Rebibbia ne sono previsti 214, ma ne risultano in servizio solo 175, pari a una carenza del 19%. Questo deficit di personale comporta accorpamenti, turni insostenibili, e una sorveglianza ridotta, specialmente nei reparti dove si trovano persone con disturbi psichiatrici o fragilità certificate.

Le organizzazioni sindacali del comparto sicurezza, come la FNS Cisl Lazio, denunciano da tempo la necessità di condizioni lavorative dignitose e di una corretta applicazione delle norme contrattuali. Le ripercussioni di questo squilibrio colpiscono direttamente anche i detenuti, contribuendo al peggioramento del clima all’interno degli istituti e all’aumento di episodi drammatici.

Quarantuno suicidi nel 2025

Con questo ennesimo suicidio, salgono a 41 i casi di persone che si sono tolte la vita all’interno delle carceri italiane dall’inizio del 2025. Si tratta di un dato allarmante, che evidenzia una crisi strutturale profonda del sistema penitenziario, caratterizzato da sovraffollamento, personale insufficiente e assistenza psichiatrica inadeguata.

Nonostante le normative vigenti prevedano misure alternative alla detenzione per chi ha una pena residua inferiore a 24 mesi, queste possibilità vengono applicate raramente, aggravando ulteriormente la pressione sugli istituti.

A Rebibbia, come in molte altre carceri del Paese, le condizioni di vita risultano estremamente compromesse, tanto per i detenuti quanto per il personale. Le richieste di intervento, tanto in ambito sanitario quanto amministrativo, si moltiplicano, ma restano spesso senza risposta. Nel frattempo, il rischio di nuove tragedie resta concreto e altissimo.