Roma trascinata in Tribunale per la sponsorizzazione da 25 milioni (senza bando) che passa il ‘marchio’ Colosseo a Tod’s per 15 anni

Roma, sullo sfondo la pubblicità della Tod's sul Colosseo, in primo piano il patron Della valle e il sindaco di Roma Gualtieri

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Roma, i cittadini hanno presentato un ricorso giudiziario al Tribunale Amministrativo del Lazio contro la maxi sponsorizzazione da 25 milioni di euro, firmata nel marzo 2022, con la benedizione del Governo Draghi e del Ministero della Cultura, allora guidata dall’ex Ministro Franceschini, sindaco della Capitale Gualtieri, che ha consegnato per quindici anni – prorogabili – il “marchio” Colosseo al Gruppo Tod’s, l’impero calzaturiero di Diego Della Valle, il noto imprenditore marchigiano.

Un’operazione salutata all’epoca dal Comune di Roma come un trionfo del mecenatismo privato, ma che nel tempo si è trasformata in un caso giudiziario destinato a far discutere ancora a lungo. Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, con una sentenza di oggi 8 ottobre, ha dichiarato il difetto di giurisdizione e rigirato la questione al Tribunale Civile di Roma. In gioco, difatti, non c’è solo una sponsorizzazione ‘nuda e cruda’, ma il diritto legale stesso di “usare” l’immagine e il nome del monumento simbolo di Roma e dell’Italia nel mondo per 15 anni.

Il ricorso di Roma: “Il Colosseo appartiene ai cittadini”

A portare in aula la questione è stata l’associazione ‘Lega Articolo 822 – Il Demanio Appartiene ai Cittadini,’ guidata da Fabio Massimo Nicosia. Un nome che evoca l’articolo del Codice Civile sui beni demaniali, cioè di proprietà collettiva e quindi irrimediabilmente e irreversibilmente pubblica. Secondo l’associazione, il contratto stipulato nel 2022 tra il Ministero a guida Franceschini e la Tod’s S.p.A. avrebbe trasformato un bene pubblico in un brand privato, senza alcuna reale contropartita economica proporzionata.

Nel ricorso si legge che, “con il modesto corrispettivo di un lavoro di restauro, Tod’s è diventata padrona del ‘marchio’ Colosseo per quindici anni”. Una frase che riassume il senso della protesta: non è in discussione il restauro – ampiamente completato – ma il principio secondo cui un simbolo dello Stato possa essere “marchiato” da un’azienda.

La difesa : “È solo un contratto di sponsorizzazione”

Il Ministero della Cultura e il Parco Archeologico del Colosseo, difesi dall’Avvocatura dello Stato, hanno respinto ogni accusa. Secondo la tesi della difesa, non si tratta di una concessione demaniale – che avrebbe richiesto una gara pubblica – ma di un contratto di sponsorizzazione atipico, in cui lo sponsor finanzia lavori in cambio della possibilità di associare il proprio nome all’iniziativa. Insomma, nessuna ‘svendita’ del patrimonio nazionale, ma un accordo di promozione reciproca.

La partita legale: il TAR si chiama fuori

Il Tar ha stabilito che non spetta al giudice amministrativo pronunciarsi sulla validità del contratto. La controversia, ha spiegato il Collegio, riguarda la “nullità parziale” di un accordo tra pubblica amministrazione e privato e dunque deve essere affrontata davanti al giudice civile di Roma.

In altre parole, il Tar non entra nel merito della vicenda, ma invita l’associazione a rivolgersi ai tribunali civili per chiedere, eventualmente, l’annullamento dell’intesa che lega Tod’s al Colosseo fino al 2037 (con possibilità di proroga).

Una decisione che lascia aperta la porta a nuovi scenari giudiziari e a un dibattito politico e culturale tutt’altro che chiuso.

Il contesto: Draghi premier, Gualtieri sindaco, Franceschini ministro

il ricorso è stato presentato nel 2022, nel pieno del governo guidato da Mario Draghi, con Roberto Gualtieri sindaco di Roma e Dario Franceschini ministro alla Cultura. È in questo clima di “rinascita post-pandemia” che riemerge la vecchia ferita della sponsorizzazione. Mentre si parla di rilancio del patrimonio e partenariato pubblico-privato, il ‘caso Colosseo’ torna come un boomerang a ricordare i rischi del confine labile tra tutela e sfruttamento commerciale del bene culturale.

Non è un caso isolato: già nel 2016 la Corte dei Conti aveva espresso perplessità su diverse sponsorizzazioni pubbliche, compresa quella del Colosseo, sollevando dubbi sulla trasparenza e sulla reale utilità economica per lo Stato.

Il nodo del “marchio Colosseo”

L’aspetto più controverso dell’accordo resta l’utilizzo del logo e del nome del Colosseo da parte di Tod’s e della fondazione “Amici del Colosseo”, emanazione diretta del gruppo imprenditoriale marchigiano, secondo i ricorrenti. Nel contratto, infatti, lo sponsor ottiene il diritto di usare la dicitura “Sponsor unico per i lavori di restauro del Colosseo”, di inserire il proprio marchio sui biglietti d’ingresso e persino di realizzare materiale promozionale e multimediale con il monumento.

Un diritto di sfruttamento che, per l’associazione ricorrente, travalica i confini del mecenatismo e sfocia nell’appropriazione di un simbolo collettivo. “Il Colosseo non è un brand”, sostengono, “ma un bene pubblico che appartiene ai cittadini italiani”.

L’eco di un vecchio mecenatismo?

Da parte sua, Diego Della Valle ha sempre difeso l’operazione, rivendicando la trasparenza dell’accordo e l’utilità per il Paese. “Abbiamo fatto tutto nel rispetto delle regole e senza ricevere un euro di denaro pubblico”, ha dichiarato più volte. “Il restauro è completato e oggi il Colosseo è un simbolo del mecenatismo moderno”.

Un concetto ribadito anche a fine 2024, quando – durante la presentazione del Padiglione Italia alla Biennale di Venezia – Della Valle invitava il Ministero della Cultura a creare una “stanza di compensazione” tra pubblico e privato, una sorta di sportello unico per facilitare gli investimenti nei beni culturali.

Il futuro: parola al Tribunale Civile di Roma

La battaglia, però, non è finita. Dopo la decisione del Tar, la palla passa ora al Tribunale Civile di Roma, dove l’associazione “Lega Articolo 822” potrà chiedere la dichiarazione di nullità del contratto. Se la causa dovesse proseguire, si aprirebbe un precedente destinato a pesare su tutte le future sponsorizzazioni culturali di Roma, ma non solo. Per ora, il Colosseo resta “griffato” Tod’s. Ma la domanda resta sospesa nell’aria, tra il ruggito dei turisti e i riflettori del restauro: fino a che punto è lecito marchiare la Storia e il simbolo dell’Italia nel mondo?

Roma, il Colosseo e, sulla destra, il cantiere della metro C giunto alle battute finali, foto Google Maps
Roma, il Colosseo e, sulla destra, il cantiere della metro C giunto alle battute finali, foto Google Maps – www.7colli.it